Grazie all’Iran i palestinesi hanno potuto sparare mille razzi su Israele

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(Roma, 12 maggio 2021). Dalla Striscia razzi iraniani su Israele. I gruppi palestinesi hanno intensificato la relazione con i Pasdaran, e questo si vede anche dall’efficienza e dalla capacità di attacco: ecco quali e quante armi sono a disposizione delle milizie

Dal 2012 Israele ha iniziato a lanciare raid aerei in Siria (e negli anni successivi in Iraq). Obiettivo: convogli di armi che i Pasdaran passavano alle milizie sciite che l’Iran aveva prima mobilitato per puntellare il regime assadista, poi trasformato (con un maquillage politico-comunicativo) nell’organizzazione militare che ha dato sostegno al governo iracheno e siriano nel fronteggiare l’espansione dello Stato islamico.

Gli attacchi israeliani sono sempre stati mirati, di altissima precisione e puntualità. Le intelligence dello stato ebraico hanno perfettamente chiaro quanto succede: ogni carico sospetto che tracciano lo colpiscono (e lo colpiranno). La ragione è chiara: Israele è consapevole che prima o poi quelle armi saranno dirette contro il suo territorio. Che siano i miliziani libanesi di Hezbollah  o che siano altri gruppi. Anche perché tra quegli armamenti — soprattutto missili di vario genere — alcuni fluiscono, semi-nascosti dal caos della guerra siriana, verso i gruppi jihadisti palestinesi. Che sono sunniti, ma pragmaticamente condividono con le milizie sciite e con i Pasdaran l’odio per un nemico esistenziale: lo stato ebraico.

Il finanziamento (militare) ai gruppi palestinesi — che sono stati anche impiegati in forma pro-Assad — è parte della strategia con cui la Repubblica islamica intende muovere influenza a livello regionale. Milizie/partito o partiti/milizia che si innescano all’interno del sistema-paese di Iraq, Libano, Siria, ma anche Afghanistan e Pakistan sebbene in parte minore; contemporaneamente i Pasdaran forniscono armi allo Yemen e ai gruppi armati della Striscia di Gaza. Lo scopo è creare sfere di influenza, anche alterando quelle del nemico (a Gaza, Israele; nel caso dello Yemen, l’Arabia Saudita).

Le azioni militari di questi giorni testimoniano come le forze palestinesi siano cresciute di capacità: sia tattiche che tecniche. La salva di missili che è stata sparata contro il territorio ebraico è evidente che non sia una risposta di indignazione spontanea per le violenze della polizia israeliana ad al Aqsa. C’è un coordinamento e c’è un piano di attacco.

Fondamentalmente tutto si basa su quella che viene definita “saturazione”: si sparano tanti, tantissimi razzi contemporaneamente perché in quel modo lo scudo aero israeliano Iron Dome (di cui Stefano Pioppi ha descritto su queste colonne il funzionamento) non riesce a compiere le intercettazioni. I bersagli diventano troppi, e questo permette di rendere più efficiente l’attacco, nonostante l’altissima efficacia dello scudo israeliano che ha intercettato circa l’80 per cento degli attacchi battezzati pericolosi dal sistema.

In 38 ore sono stati lanciati dalla Striscia oltre mille razzi. Tutti contro obiettivi civili su territorio israeliano: il cielo saturato di missili, Iron Dome non può coprirli tutti, i vettori cadono su un bersaglio largo un’intera città (come accaduto a Lod, qualche decina di chilometri a sud di Tel Aviv, messa a ferro e fuoco nel giro di meno di un’ora). I missili non sono solo tanti, però: sono anche più efficaci. Combinato disposto che caratterizza questa situazione attuale rispetto a quanto visto negli ultimi grandi scontri, come quello del 2014. Molti (tutti praticamente) i missili impiegati da Hamas e dagli altri gruppi della Striscia hanno un denominatore comune: sono di fabbricazione — al più derivazione — iraniana.

“Il martire Qassem Soleimani ha inviato le armi ai mujaheddin in Palestina”, “Gloria alla Resistenza. Gloria all’Iran”: sui social network gli attivisti palestinesi sono chiari. Per il collegamento simbolico è usato Soleimani, generale dei Pasdaran che ha ideato e gestito la strategia delle milizie e che è finito sotto un Hellfire di un drone americano appena fuori all’aeroporto di Baghdad. Era il gennaio 2020, all’operazione aveva partecipato anche il Mossad, l’Iran aveva reagito all’uccisione di quell’ufficiale mitologico con un barrage di missili contro basi irachene che ospitavano soldati americani (le stesse basi che sono costantemente bersagliate con razzi Katyusha e simili sparati dalle milizie sciite irachene).

Dallo scorso anno, Hamas ha iniziato a propagandare con maggiore intensità il collegamento con l’Iran. La morte di Soleimani e il ricordo del generale sono stati il proxy narrativo usato dal gruppo; e forse l’elemento che ha spinto i Pasdaran ad aumentare il sostegno per vendicarsi contro Israele, accusato di aver condotto una serie di operazioni e di sabotaggio all’interno della Repubblica islamica. I Pasdaran hanno anche intensificato le relazioni con la Saraya al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica, che ieri, martedì 11 maggio, ha rivendicato di aver utilizzato nel suo attacco contro Israele una raffica di missili del tipo “Badr 3”. Sono stati usati per colpire Ashkelon — sulla costa mediterranea, appena a nord della Striscia — e sono stati in grado di violare Iron Dome.

Il Badr 3 è un missile di fabbricazione iraniana che per per la prima volta è stato usato nel maggio 2019, quando il braccio militare del movimento ribelle Houthi, “Ansar Allah”, lo ha utilizzato in Yemen. Gli Houthi sono collegati militarmente ai Pasdaran, e hanno uno slogan chiaro: “morte a Israele e siano maledetti gli ebrei”. La Jihad islamica dalla Striscia di Gaza è stato il secondo gruppi armati a utilizzare questo missile.

Il Badr 3 trasporta una testata esplosiva del peso di 250 kg e ha una portata di oltre 160 km. Ha un altro importante vantaggio: non esplode quando colpisce il bersaglio, ma quando è a circa 20 metri sopra l’obiettivo e massimalizza cosi l’effetto. Spara 1.400 schegge, il che espande la sua capacità di distruggere installazioni e case vicino al punto di esplosione in cui cade. La Saraya al-Quds lo ha modificato per trasportare una testata da 350 kg.

Un’altra analogia con la guerra in Yemen riguarda l’uso del missile anticarro di fabbricazione russa “Kornet”. Sempre la Saraya al-Quds ha rivendicato la responsabilità di un attacco contro un veicolo militare israeliano al confine di Gaza con un missile guidato, dichiarando esplicitamente di aver usato questo tipo di missile. Un ufficiale israeliano è stato ucciso. In precedenza un altro Kornet aveva colpito una jeep civile. Modalità analoghe a quelle usate dagli Houthi dello Yemen contro i mezzi blindati sauditi come dimostra un video pubblicato dalla formazione ribelle nel 2016 — gli yemeniti usano i Kornet in una versione modificata dagli iraniani che chiamano “Dehlavieh”. Israele ieri sera ha bombardato un deposito di questo genere di missili.

L’IDF, le Forze armate israeliane, hanno colpito pesantemente i palestinesi. I raid aerei sono stati 500, sono stati centrati obiettivi militari tattici e ci sono state vittime collaterali (tra cui dei bambini). Diverse persone sono state ferite perché razzi meno sofisticati sono caduti dopo poco aver preso il volo. Tra i target centrati dai bombardamenti israeliani ci sono anche alti comandanti dei gruppi: uno degli aspetti che sta inasprendo la reazione palestinese. In diverse situazioni sono state centrate cellule operative di Hamas e della Jihad che si trovavano all’aperto per lanciare droni kamikaze, a volte i droni li ha intercettati dall’Iron Dome: altro elemento che collega gli attacchi dalla Striscia con quanto visto in Yemen e con le tattiche più moderne dei Pasdaran.

Emanuele Rossi. (Formiche)