Libia: l’ombra dei Fratelli musulmani dietro gli attacchi alla ministra degli Esteri Najla El Mangoush

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(Roma, 11 maggio 2021). Lo scenario politico libico è stato teatro negli ultimi giorni di aspre polemiche sulle posizioni del ministro degli Esteri Najla el Mangoush a sostegno del ritiro delle forze straniere e dei mercenari dal Paese nordafricano. Sulla ministra e attivista per i diritti umani originaria di Bengasi, capoluogo della Cirenaica, si è scatenata una vera e propria tempesta mediatica. Parte dei leader dell’organizzazione dei Fratelli musulmani chiedono le dimissioni del capo della diplomazia libica, prima donna a ricoprire tale ruolo in Libia. sia attraverso le formazioni armate che i loro canali televisivi. Vale la pena ricordare che l’uscita di mercenari e forze straniere dal Paese è una delle disposizioni più importanti dell’accordo di cessate il fuoco firmato tra le parti in conflitto. Secondo l’analista politico Muhammad al Raish, citato dall’emittente satellitare panaraba di proprietà saudita “Al Arabiya”, la levata di scudi in difesa delle forze turche in Libia “non è sorprendente, dato lo stretto legame tra la Turchia, la Fratellanza e le sue milizie armate”. Da parte sua, il ricercatore e analista politico Jamal Shalouf ha ritenuto che la campagna anti-Mangoush “è un messaggio negoziale turco all’ambiente regionale e internazionale. Vogliono dire che se anche le forze turche dovessero ritirarsi dalla Libia, la presenza turca rimarrebbe attraverso le milizie ad essa affiliate”.

La ministra El Mangoush, da parte sua, ha ribadito la necessità dell’uscita delle forze militari e mercenari stranieri dal Paese, in particolare i combattenti della compagnia russa Wagner, le milizie sudanesi Janjaweed e i miliziani provenienti dalla Siria. In un discorso pronunciato domenica 9 maggio durante una visita nella città di Al Qatrun, ai confini meridionali della Libia, la ministra degli Esteri ha dichiarato che l’uscita delle forze straniere dovrebbe avvenire attraverso un piano temporale che sarà redatto dal comitato 5 + 5 (cinque membri delle forze del generale Khalifa Haftar, cinque ufficiali affiliato al governo di Tripoli) sotto la supervisione delle Nazioni Unite e in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza.

Nella notte tra venerdì 7 e sabato 8 maggio, un gruppo di uomini armati ha assaltato la sede del Consiglio presidenziale a Tripoli, presso l’hotel Corinthia per chiedere la rimozione dell’incarico della ministra El Mangoush e l’annullamento della nomina del capo dei servizi di intelligence, Hussein Khalifa Al A’eb. Gli assalitori hanno circondato le vie adiacenti all’hotel Corinthia con veicoli militari. Dopo l’assalto, una portavoce del Consiglio di presidenza libico ha confermato che “tutti i membri del Consiglio stanno bene”. Alla vigilia dell’assalto contro la sede provvisoria del Consiglio di presidenza di Tripoli, il canale televisivo satellitare “Tanasuh”, di proprietà di personalità che sostengono il movimento dei Fratelli musulmani libici in esilio in Turchia e in particolare allo sceicco Al Sadiq al Ghariani, aveva chiesto agli abitanti di Tripoli di manifestare contro la ministra degli Affari Esteri del Governo di unità nazionale: “Chiediamo una manifestazione in Piazza dei Martiri nella capitale, Tripoli, e la richiesta al premier Abdulhamid Dabaiba di licenziare il ministro degli Affari esteri Mangoush, dopo le sue dichiarazioni a sostegno dell’aggressione alla capitale (l’offensiva del generale Khalifa Haftar dell’aprile 2019, ndr) e la sua richiesta di partenza delle forze turche che addestrano e sostengono l’Esercito libico”.

Un importante esponente delle milizie di Misurata e dell’operazione militare libica “Vulcano di Rabbia”, Muhammad Bahron, detto anche “Al Far”, avevaintimato in precedenza al Consiglio di presidenza libico di ritirare la nomina a capo dell’intelligence di Hussein Khalifa Al A’eb. Rivolgendosi al presidente Mohammed al Menfi in un messaggio su Twitter, Al Far aveva accusato Al A’eb di essere un uomo del generale Khalifa Haftar e di essere coinvolto nell’offensiva militare contro Tripoli dell’aprile 2019 – giugno 2020. “Devi ritirare la decisione di nominare a capo dell’intelligence chi ha sostenuto l’aggressione contro Tripoli. Altrimenti, come ti abbiamo autorizzato, siamo in grado di espellerti e licenziarti”, aveva scritto Al Far, rivolgendosi al capo del Consiglio di presidenza.

Redazione. (NovaNews)