Il blocco saudita alle importazioni agricole rischia di strangolare l’economia del Libano

0
458

(Roma, 28 aprile 2021). Il blocco alle importazioni di frutta e verdura libanesi imposto dall’Arabia Saudita per la presenza di pillole di captagon nelle spedizioni rischia di far collassare definitivamente l’economia del Libano, già messa a dura prova da decenni di corruzione e dall’assenza di un governo in grado di ideare e attuare un piano di riforme strutturali. Tuttavia, la decisione di Riad, motivata da ragioni di sicurezza, sembra avere un chiaro significato politico più ampio che, da un lato mira ad accelerare la formazione dell’esecutivo libanese, dall’altro vuole colpire il movimento sciita Hezbollah – quindi l’influenza regionale dell’Iran – che gestisce le strutture dove viene prodotta questo tipo di anfetamina. E’ utile ricordare che gli effetti economici della mossa di Riad si aggiungono al default annunciato a marzo 2020, alla distruzione del porto di Beirut avvenuta il 4 agosto scorso e al crollo della valuta locale, che negli ultimi 18 mesi ha perso circa l’85 per cento del suo valore. Il mercato dei Paesi del Golfo è la destinazione del 55 per cento di frutta e verdure libanesi, secondo i dati dell’Associazione dei produttori agricoli. Pertanto, se anche Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Oman e Bahrein dovessero seguire la mossa dell’Arabia Saudita, l’economia libanese subirebbe un nuovo ennesimo colpo. A livello geopolitico, la decisione di Riad sembra voler tagliare una delle arterie del cosiddetto corridoio sciita.

La decisione saudita “potrebbe essere più che altro un modo per fare pressione affinché si giunga ad una scelta della nuova composizione del governo libanese in linea con i desideri di Riad”, ha dichiarato ad “Agenzia Nova” Roberta La Fortezza, dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali e autrice del libro “Cedri e ulivi nel giardino del Mediterraneo”. L’esperta ha chiarito che l’intento di Riad non è mettere in ginocchio la già precaria situazione dell’economia libanese. “Un blocco totale e prolungato affosserebbe il Libano definitivamente e non credo sia questo l’intento di Riad”, ha affermato. La decisione saudita, “pur inserendosi nella generale strategia di Riad di lotta al traffico di stupefacenti, assume, volutamente o no, risvolti politici – ha evidenziato La Fortezza -. Potrebbe, cioè, essere verosimilmente anche un modo per cercare di esercitare una pressione sui vertici libanesi in un momento estremamente complesso per la vita politica del Paese”.

La decisione saudita potrebbe testimoniare un messaggio rivolto alla coalizione del presidente della Repubblica, Michel Aoun, al cui interno vi è proprio il partito filo-iraniano Hezbollah, con il tentativo di screditarne l’immagine. Vale la pena ricordare che Aoun, dopo aver affidato il 22 ottobre scorso a Saad Hariri l’incarico di formare il governo, è considerato il responsabile principale dello stallo che impedisce la formazione della squadra dei ministri. La mossa saudita “potrebbe essere letta come un messaggio diretto alla coalizione guidata dal presidente Aoun, che vede tra le sue fila Hezbollah, gruppo coinvolto nel contrabbando e nei traffici illegali in entrata e uscita dal Libano, nell’intento di indebolire la sua posizione interna”, ha spiegato l’analista La Fortezza. Secondo l’esperta, sono “emblematiche in tal senso le accuse rivolte dal leader delle Forze libanesi, Samir Geagea, contro i partiti al potere rei di aver coperto il contrabbando transfrontaliero e di essere pertanto responsabili della sospensione saudita delle importazioni libanesi di frutta e verdura”.

A livello economico, ha proseguito La Fortezza, “concretamente la chiusura del confine del Regno alle merci libanesi in un momento in cui il Libano è ormai al collasso economico, potrebbe costringere la presidenza libanese a mostrarsi più accondiscendente nei confronti di Riad e dei suoi alleati interni libanesi, soprattutto con riferimento alla diatriba relativa alla formazione del nuovo esecutivo guidato da Hariri”. Dal punto di vista sociale, poi, il blocco delle importazioni, “soprattutto se non risolto celermente, potrebbe comportare nuovi aumenti delle proteste da parte della popolazione e, dunque, portare a un nuovo aumento della tensione come ciclicamente accaduto dal 2019”, ha concluso l’autrice del libro “Cedri e ulivi nel giardino del Mediterraneo”.

All’indomani della decisione di Riad, la presidenza e il governo libanese uscente hanno chiesto all’Arabia Saudita di rivalutare il divieto imposto alle importazioni di frutta e verdura provenienti dal Libano. La riunione avvenuta nei giorni scorsi nel palazzo di Baabda tra il capo dello Stato, Michel Aoun, il primo ministro del governo uscente, Hassan Diab, e alcuni dirigenti delle dogane e della sicurezza è stata dedicata all’impatto catastrofico sull’economia libanese dovuto alla scoperta di un carico di captagon, nascosto all’interno di cassette di melograni provenienti dal Libano. Nel comunicato stampa diffuso al termine della riunione, la presidenza ha sottolineato “la determinazione del Libano a preservare le relazioni fraterne con l’Arabia Saudita”. Inoltre, i partecipanti alla riunione hanno chiesto alla giustizia di appurare come il captagon “sia stato introdotto nel carico di frutta e verdura giunti in Libano” e chi vi sia dietro l’esportazione verso l’Arabia Saudita. Secondo alcuni media, il captagon sarebbe giunto in Libano dalla Siria. L’emittente “Al Hadath” ha fatto sapere che la droga giunta in Libano sarebbe ripartita dal porto di Beirut senza alcuna ispezione, perché nello scalo non vi sono attualmente scanner.

“Qualsiasi tipo di contrabbando, dalla droga al carburante, nuoce al Libano e gli costa molto caro – ha detto il presidente Aoun -. Quello che è avvenuto recentemente in tema di contrabbando verso il regno saudita lo conferma”. Il Libano “non vuole mettere in pericolo la sicurezza di nessun Paese, in particolare di nessuno Stato arabo”, ha concluso Aoun. Da parte sua, il primo ministro uscente Diab ha garantito che il Libano “non accetta in nessun caso che vi sia un pregiudizio verso l’Arabia Saudita”. “Siamo al fianco del regno saudita per la lotta contro le reti di contrabbandieri, libanesi e sauditi, e i loro estesi legami in numerosi Paesi, in modo da perseguire le persone coinvolte”. Diab ha concluso: “L’Arabia Saudita e tutti i Paesi del Golfo sanno bene che lo stop alle importazioni dei prodotti agricoli libanesi non impedisce il contrabbando di droga che si serve di diversi mezzi”.

Secondo i dati delle dogane libanesi, nel 2020 Beirut ha esportato 29,3 milioni di dollari di frutta e verdura verso il mercato saudita. Le autorità libanesi hanno affermato che la spedizione di melograni in cui sono stati ritrovati gli stupefacenti è semplicemente transitata attraverso il paese e proveniva dalla Siria. Venerdì scorso, quattro tonnellate di cannabis dirette in Slovacchia dal Libano sono state sequestrate dalle autorità greche nel porto del Pireo. La produzione di captagon e altre anfetamine è esplosa nella vicina Siria da quando è scoppiata la guerra civile 10 anni fa. La produzione di captagon, evidenzia il quotidiano emiratino “The National” è ampiamente associata al governo siriano e al suo alleato libanese Hezbollah. Nei giorni scorsi, l’ambasciatore dell’Arabia Saudita in Libano, Waleed Bukhari, ha scritto su Twitter che “le quantità sequestrate sono sufficienti ad annegare l’intero mondo arabo, non soltanto l’Arabia Saudita, di narcotici e sostanze psicotrope”.

Secondo quanto riferito di recente da alcuni media internazionali e libanesi, Hezbollah starebbe facendo preparativi, tra cui scorte di alimenti, medicinali e carburante, in vista di un possibile “collasso totale” dell’economia del Paese. Il partito starebbe infatti emettendo tessere per il razionamento di alimenti, importando farmaci e predisponendo serbatoi per stoccare carburante proveniente dall’Iran. La mossa giungerebbe in risposta alla grave crisi economica che il Libano sta attraversando e dovrebbe permettere un’espansione dei servizi già offerti dal movimento sciita alla sua base, con una rete che comprende enti di beneficenza, una compagna di costruzioni e un sistema di risarcimenti. In realtà, secondo quanto appreso da “Agenzia Nova”, ogni partito si sta organizzando per aiutare la propria base elettorale e confessionale, preparandosi al peggio.

Redazione. (NovaNews)