Il pressing della Russia sui curdi e l’impatto sulla guerra in Siria

0
570
FILE - This Saturday, Feb. 22, 2020 file photo, a Turkish military convoy moves in Idlib province, Syria. A summit meeting between the Turkish and Russian leaders scheduled for Thursday, March 5, 2020, may be the last chance to work out a deal that avoids a calamity in Syria's northwest. Faced with mounting losses for his troops in Syria and a potential wave of refugees fleeing fighting in northwestern Syria, Turkish President Recep Tayyip Erdogan is eager for a cease-fire and Vladimir Putin is ready to bargain. (AP Photo/Ghaith Alsayed, File)

(Roma, 21 aprile 2021). Gli occhi della Russia sono ancora una volta puntati sul ripristino del controllo governativo sul nord della Siria. Dopo dieci anni di guerra, il presidente Bashar al-Assad è riuscito a riprendere il controllo del 70 % del Paese, grazie all’aiuto di Mosca e Teheran, ma ci sono ancora delle aree in cui non vige la legge di Damasco. Nel nord-est vi è l’Amministrazione autonoma del Rojava, a maggioranza curda, mentre le milizie filo-turche controllano la regione di Idlib e l’area di confine fino a Jarablus ad ovest e l’area che va da Ain Issa a Tal Tamr ad est. Ma nel versante nord-occidentale sono presenti anche le Syrian democratic forces (Sdf), le milizie curdo-arabe del Rojava, che controllano la città di Tell Rifaat e l’area circostante nonostante la dura opposizione della Turchia e il pressing della Russia.

Il nodo della presenza curda

Recentemente la regione è tornata al centro dell’attenzione russa, presente nell’area con le proprie truppe in funzione anti-turca. Ankara vorrebbe mettere le mani su Tell Rifaat per ampliare la fascia di territorio sotto il controllo dei suoi soldati e delle milizie a lei fedeli e porre così fine alla presenza curda nel nord-ovest, percepita come una minaccia per la sicurezza nazionale. Il dispiegamento russo, quindi, funge da deterrente rispetto all’espansione turca, ma l’aiuto di Mosca ai curdi non è certamente disinteressato, come dimostrano gli ultimi avvenimenti.

Il 13 aprile le forze russe hanno improvvisamente lasciato le basi di Tell Rifaat e di Kashtar, entrambe situate al confine tra l’area controllata dalle milizie filo-turche e quella curda, mantenendo però stabile la propria presenza a Sherawa, Teneb, Tal Ajhar e Menagh nel nord di Aleppo. Il ritiro è avvenuto senza alcuna comunicazione tra Mosca e le autorità curde, e le forze filo-turche hanno approfittato della situazione per lanciare nuovi attacchi contro l’area, seppur di modesta intensità. Il posto delle truppe russe, tra l’altro, è stato prontamente preso dalle milizie iraniane attive in Siria, preoccupate per la sorte della popolazione sciita presente poco più a sud nelle città di Nubl e Zahraa.

L’operazione a elastico di Mosca

Il ritiro delle truppe russe è stato però breve. Una volta ricominciati gli attacchi delle milizie filo-turche, le forze di Mosca sono tornate ad occupare le basi di Tel Rifaat e Kashtar. La Russia non ha per ora alcun interesse ad abbandonare l’area, volendo contemporaneamente evitare l’espansione sia delle milizie iraniane che di quelle filo-turche. Obiettivo di Mosca è riprendere il controllo di Tell Rifaat per ampliare il territorio sotto la guida di Assad, ma per farlo deve convincere la Sdf ad abbandonare la città.

In attesa di un totale ripristino del controllo governativo sull’area, Mosca sta cercando di ottenere sempre maggiori concessioni dai curdi, come successo recentemente. Secondo quanto riportato da al Monitor, le truppe russe hanno fatto ritorno a Tel Rifaat e Kashtar dopo aver raggiunto un accordo con le Sdf, che hanno garantito un aumento delle forniture di grano e generi alimentari verso Damasco. Un accordo simile era stato raggiunto anche nei giorni precedenti: i curdi avevano acconsentito ad un incremento nell’approvvigionamento di petrolio in cambio della riapertura di alcuni valichi tra il nord-est e i territori governativi.

L’esempio di Ain Issa

Ad una situazione simile a quella di Tell Rifaat si era già assistito a fine 2020 ad Ain Issa, nel nord-est della Siria. Le Sdf, che controllano tuttora la città, si erano trovate sotto il fuoco dell’Esercito siriano libero (Nsa) filo-turco, intenzionato ad ampliare la cosiddetta safe zone istituita al confine tra Siria e Turchia. Anche in quel caso la possibile avanzata delle forze fedeli ad Ankara andava contro gli interessi russi, motivo per cui Mosca aveva proposto alle Sdf di cedergli il controllo di Ain Issa, evitando così una catastrofe umanitaria. I curdi però avevano declinato l’offerta temendo una futura espansione della Russia e di Damasco verso le regioni circostanti facenti parte del Rojava.

In quel caso l’escalation si concluse con un ripristino dello status quo, ma la situazione a Tell Rifaat è più delicata. La presenza dei curdi nella città del nord-ovest viola gli articoli 3 e 5 del Memorandum di Sochi firmato da Russia e Turchia a novembre del 2019, secondo i quali le Sdf si sarebbero dovuto ritirare anche da Minbij e dalla regione di Tell Rifaat. Ad oggi però le forze curde sono presenti in entrambe le aree e l’incapacità della Russia di convincere le Sdf a lasciare le due città è spesso usata dalla Turchia come giustificazione per le sue violazioni dell’accordo sulla gestione di Idlib.

Riprendere il controllo di Tell Rifaat è quindi importante per Mosca e Damasco, ma come ogni cosa in guerra anche la sorte di questa città può diventare moneta di scambio per avere concessioni su altri fronti dalla Turchia.

Futura D’Aprile. (Inside Over)