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Di Maio domani in Mali: l’obiettivo è rafforzare la presenza italiana nel Sahel

(Roma, 07 aprile 2021). Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è atteso domani in visita a Bamako, in Mali, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la presenza italiana nella regione del Sahel. In questa regione, come affermato dallo stesso Di Maio in un’intervista a “Radio anch’io”, “la situazione è ancora più difficile” rispetto a quella libica, soprattutto perché “le rotte migratorie passano dal Sahel e sono rotte di persone disperate che attraversano l’Africa e arrivano alle coste europee, spesso italiane. Stiamo aprendo diverse ambasciate nella regione e stiamo per inaugurare un’ambasciata a Bamako, in Mali”, ha aggiunto il ministro, senza confermare o meno se la sua presenza di domani a Bamako sarà effettivamente finalizzata ad inaugurare la nuova rappresentanza diplomatica italiana. La visita di Di Maio giunge peraltro in un momento estremamente delicato per la regione, teatro di una recrudescenza jihadista senza precedenti che – specie nella cosiddetta “zona dei tre confini” fra Mali, Niger e Burkina Faso – l’ha trasformata nel nuovo epicentro del terrorismo jihadista internazionale.

In virtù della sua importanza geostrategica a cavallo tra l’Africa sub-sahariana e l’area euro-mediterranea, il Sahel è diventata da tempo una priorità per l’Italia, come dichiarato la scorsa settimana dallo stesso ministro Di Maio in occasione dell’audizione alle commissioni Esteri riunite di Camera e Senato sulle linee programmatiche del ministero degli Esteri. “Dal 2017 abbiamo potenziato la nostra presenza diplomatica, con l’apertura di ambasciate in Niger e Burkina Faso, cui seguiranno entro l’anno Mali e, immediatamente dopo, Ciad. Dal 2018 è attiva la missione bilaterale di formazione in Niger e contribuiamo a tutte le missioni Ue e Onu nell’area. Dal 2020, partecipiamo alla Coalizione per il Sahel, dove stiamo dispiegando il nostro primo contingente nella Task Force Takuba per la lotta al terrorismo. L’Italia è anche un partner tradizionale dei Paesi della regione sul piano dell’assistenza umanitaria, dello sviluppo sostenibile e della gestione del fenomeno migratorio”, ha sottolineato Di Maio in quel frangente.

La visita di Di Maio in Mali cadrà a una settimana da quella effettuata dalla ministra della Difesa francese, Florence Parly, che in quell’occasione ha confermato l’avvio della “piena capacità operativa” della task force Takuba, lanciata nel gennaio 2020 dal presidente francese Emmanuel Macron con l’obiettivo di addestrare le forze locali e controllare il territorio per il contrasto ai fenomeni di terrorismo, traffico illecito e insorgenza e che prevede la partecipazione di 200 militari italiani. La partecipazione italiana, approvata dal parlamento nel giugno scorso, si articolerà su assetti elicotteristici per il trasporto e l’evacuazione medica e unità di addestratori in accompagnamento alle forze locali che opereranno di concerto ai contingenti degli altri partner internazionali e della Forza congiunta dei G5 Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso), e avrà lo scopo di riaffermare l’impegno italiano nel Sahel e di rafforzare ulteriormente il ruolo del nostro Paese in un’area considerata il fulcro dell’arco di instabilità che va dalla Libia, e quindi dalle coste del Mediterraneo, al Golfo di Guinea.

Stando a quanto appreso da “Agenzia Nova”, il primo contingente di uomini inviati dall’Italia dovrebbe stanziarsi inizialmente nell’area di Menaka, nell’est del Mali (non lontano dal confine con il Niger), dove è presente una base avanzata temporanea dell’operazione a guida francese Barkhane, mentre un altro gruppo dovrebbe arrivare sul posto entro la fine di marzo: l’effettiva operatività della missione (Full Operation Definition) dovrebbe invece essere raggiunta entro la fine dell’anno. Secondo fonti consultate da “Nova”, inoltre, la missione non prevede alcun impiego di forze speciali. L’hub logistico dovrebbe tuttavia restare Niamey, già base della Missione bilaterale di sostegno alla Repubblica del Niger (Misin), dove sarà costituito probabilmente un comando di area con un comandante che avrà alle sue dipendenze il personale della task force. La missione, sostengono le stesse fonti, è una delle più moderne e articolate a cui l’Italia abbia mai partecipato: il suo scopo è infatti prima di tutto quello di coadiuvare le forze di difesa locali nel contrasto al terrorismo, ma prevede anche il sostegno alla popolazione locale e alle comunità e, in questo senso, si tratta di un’operazione basata su di un concetto operativo moderno, ovvero cercare di arginare flussi migratori e terrorismo attraverso tutta una serie di piccoli obiettivi che concorrano a procurare effetti che avvicinino all’obiettivo finale.

Come previsto dal decreto missioni approvato a giungo dal parlamento italiano, il dispositivo nazionale prevede l’impiego di assetti aeroterrestri a supporto delle operazioni, fra cui 20 mezzi e materiali terrestri e otto mezzi aerei, per un numero massimo di 200 unità di personale. Inoltre la missione necessita di un fabbisogno finanziario di 15.627.178 euro, di cui 5 milioni di euro per obbligazioni esigibili nel 2021. La presenza di altre missioni internazionali nell’area, sia bilaterali – fra cui la missione Misin in Niger, approvata dal parlamento nel 2018 – sia in ambito Onu e Ue, porterà ad una progressiva integrazione delle attività di concorso, addestramento e supporto a favore delle forze di sicurezza locali: in tal senso, il documento prevede la possibilità di “supporti associati da e per le altre missioni insistenti nell’area”, così come “gli assetti nazionali, integrati all’occorrenza da unità delle forze speciali, potranno essere eventualmente impiegati a supporto delle attività di tali missioni”. La task force sarà inizialmente a comando francese ma è probabile che si opterà per una rotazione semestrale del comando tra i Paesi aderenti.

Concepita per la prima volta in occasione del vertice G5 Sahel di Pau del gennaio 2020, la task force Takuba – che in lingua tuareg significa “Spada” – è stata lanciata ufficialmente il 28 marzo 2020 in occasione di una videoconferenza in cui i rappresentanti di Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Mali, Paesi Bassi, Niger, Norvegia, Portogallo, Svezia e Regno Unito hanno concordato di impegnarsi ad attuare ulteriori sforzi per superare la “resilienza dei gruppi terroristici”, assistendo gli eserciti regionali nella lotta contro i gruppi armati e integrando gli sforzi compiuti dall’operazione francese Barkhane (che dispone al momento di oltre 5 mila uomini) e dalla forza congiunta regionale del G5 Sahel, composta da truppe di Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. La nuova task force opererà nella regione di Liptako, nota anche come l’area dei “tre confini” (tra Burkina Faso, Niger e Mali) e per essere una delle roccaforti dei combattenti legati allo Stato islamico.

La visita di Di Maio avviene inoltre in un momento delicato per la Francia, la cui presenza militare nel Sahel ha sollevato da un lato un diffuso sentimento popolare anti francese, dall’altro pressanti richieste tra le file dell’opposizione parigina per ottenere una riduzione degli effettivi sul campo, sull’onda di un crescente bilancio di vittime militari francesi (55 dall’inizio dell’operazione Serval, nel 2013). Un’ipotesi, la riduzione degli effettivi, che è stata presa in considerazione “a lungo termine” dallo stesso presidente Emmanuel Macron, più propenso tuttavia per il momento a promuovere un allargamento europeo della coalizione anti jihadista finora sostenuta dai Paesi del G5 Sahel (Mali, Ciad, Burkina Faso, Niger e Mauritania), per condividerne i costi logistici e umani. La strategia francese di ritirarsi dalla “prima linea” risponde in effetti anche ad una crescente diffidenza operativa nei confronti dei militari di stanza nel Sahel: lo stesso neo presidente del Niger, Mohamed Bazoum, ha definito la presenza di Barkhane nell’area un “relativo e condiviso fallimento”, e ha aperto ad una riduzione delle truppe terrestri francesi, dietro richiesta di mantenere le forze aeree. In questo contesto, l’accelerata diplomatica italiana potrebbe contribuire da un lato a rafforzare la fiducia dei paesi saheliani nella rinnovata coalizione occidentale, dall’altro a far affermare una diversa strategia estera rispetto a quella dei cugini francesi.

Ad appesantire la posizione di Parigi sono arrivate di recente le conclusioni dell’indagine condotta dalla Divisione diritti umani della Missione Onu in Mali (Minusma), supportata dalla polizia forense delle Nazioni Unite, secondo la quale il raid aereo condotto il 3 gennaio scorso dalle forze aeree della missione francese Barkhane vicino al villaggio di Bounti, nel Mali centrale, ha ucciso anche 19 civili e non solo miliziani jihadisti, come ripetutamente sostenuto da Parigi. In un comunicato diffuso a pochi minuti dalla pubblicazione del rapporto, il ministero della Difesa di Parigi ha respinto le conclusioni dell’indagine ed espresso “numerose riserve” sulla metodologia applicata, che “oppone testimonianze locali non verificabili e ipotesi non corroborate da prove al robusto metodo di intelligence dell’esercito francese, inquadrato dalle esigenze del diritto internazionale”. Il capo di Stato maggiore dell’esercito francese in persona, Francois Lecointre, ha dichiarato di contestare “assolutamente le conclusioni del rapporto delle Nazioni Unite”, ma il caso evoca possibili errori militari sulla pelle dei civili e non è l’unico: la scorsa settimana la forza Barkhane è stata nuovamente messa sotto accusa dopo che sei giovani tuareg sono morti durante un attacco condotto mercoledì 24 marzo con un drone nella zona di Talataye, nel nord del Paese, in circostanze non ancora chiarite.

Redazione. (Nova News)

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