(Roma, 17 marzo 2021). Circa dieci anni fa Obama, nel suo discorso all’Università al Azhar, si rivolgeva ai giovani, protagonisti delle primavere arabe. Con un cenno di pentimento per gli errori del passato prossimo (la guerra in Iraq come “guerra stupida”); accompagnato però dalla proiezione di radiosi scenari per il futuro prossimo. Il tutto accompagnato dalle voci festanti degli “inviati speciali”che scoprivano nelle piazze arabe (prima tanto temute) gente “che la pensa come noi e parla pure la nostra lingua”.
Ed è proprio sulla base di questa illusione che il Nostro avrebbe inventato i protagonisti “similoccidentali”della nuova fase. I Fratelli musulmani, trasformati d’autorità in “democrazia cristiana “ (anzi, islamica) mentre erano e sarebbe rimasti democratici ma certamente illiberali e intolleranti. E, ancora, un popolo interessato alle costituzioni e ai diritti civili mentre questo richiedeva semplicemente il rispetto dei più elementari diritti umani. E ancora, una lotta per il potere ispirata alle norme della costituzione quando si trattava di un conflitto a somma zero in cui il soccombente perdeva tutto e il vincitore era abilitato a rivendicare il potere assoluto. E, infine, la Turchia di Erdogan, ambasciatrice dei valori dell’occidente nel mondo arabo mentre, di lì a poco, si sarebbe mossa nella direzione esattamente opposta.
Il tutto con un’America pronta ad aiutare i virtuosi; mentre, di lì a poco, li avrebbe abbandonati alla loro sorte senza battere ciglio (ivi compresi, è bene ricordarlo, i suoi naturali alleati: i ceti medi siriani, libanesi, iraniani e, ebbene sì, anche i cristiani d’Oriente; solo il Papa a difenderli e senza offendere altri).
Dopo, tutte le dighe si sono rotte. Sino a far entrare in un’area di crisi che va ormai dall’Afghanistan alle rive dell’Atlantico una serie infinita di forze di consistenza e orientamento più diversi ma accomunati da due cose: l’incapacità di chiudere i conflitti in e da una incontrollabità che, nel caso degli Stati uniti (e anche per colpa di Trump) è diventata pressochè totale.
Giustificata, allora, la disperazione delle persone; molto meno, invece, il disfattismo intellettuale di chi pensa che la nuova amministrazione Usa sia condannata, in linea generale, a fare poco o nulla, se non a peggiorare le cose. Mentre una serie di indizi oggettivi lasciano pensare che uscire dal baratro sia possibile, con un percorso, certo, lungo e irto di ostacoli. Proviamo, ora,ad esaminare questi indizi. Per poi passare alle difficoltà da superare.
Il primo – e fondante- è la dichiarazione del segretario di stato Blinken “niente più interventi militari per punire i reprobi o per determinare la caduta dei rispettivi regimi “. Scelta volta rassicurare molti; anche perché pone fine alle speranze di molti altri. In Medio oriente; ma non solo.
Immediatamente dopo, altri messaggi in tal senso. Nessuna reazione militare agli attacchi degli Houthi contro l’Arabia saudita (tra l’altro, immediatamente successiva alla loro cancellazione dall’elenco delle organizzazioni terroriste) ma l’inv io di un rappresentante dell’Amministrazione in Iran, prechè faccia intendere ragione ai suoi protetti. E, ancora, nessun veto pregiudiziale all’intesa Hamas/Al Fatah, per l’indizione di elezioni, scommettendo sul fatto che l’accordo porterebbe Hamas, ove andasse in porto ad allinearsi sulle posizioni attuali dell’Anp (in questo preciso momento Dahlan,oppositore di abu Mazen, sta trattando con Hamas e con Israele, per la fornitura di Sputnik agli abitanti di Gaza). Infine, comunicazione a chi di dovere che gli attacchi alle postazioni iraniane in Siria non rappresentano un “innalzamento del tiro” ma una risposta agli attacchi delle milizie sciite in Iraq. Dopo di che, usando un gergo sportivo. “zero zero e palla al centro”.
A confermare, poi, la possibilità di un “nuovo corso”sta il fatto che i destinatari del messaggio l’abbiano perfettamente recepito. Così uno degli esponenti di spicco della cosiddetta “ala dura”del regime iraniano, l’ex capo dei pasdaran, Mohsen Rezai non solo benedice l’ipotesi di un nuovo accordo con gli Stati uniti ma suggerisce addirittura a questi ultimi le vie , facilmente praticabili, per uscire rapidamente dallo stallo attuale. Mentre dai livelli più al,ti dei servizi di sicurezza israeliani (ancora in attività o rimossi recentemente da Netanyahu) si afferma “coram populo” che Iran non rappresenta più una minaccia esistenziale per Israele; e, cosa ancora, più scandalosa che, prima o poi, Gerusalemme dovrebbe incominciare a dialogare con gli ayatollah.
E veniamo, in conclusione, agli ostacoli. Il principali dei quali è il fattore tempo. Che gioca a favore dei nemici di Biden. Basterà che l’anno di grazia 2021 passi senza che la sua linea possa esibire alcun risultato concreto ed eccolo definitivamente impallinato, anche a livello di pubblica opinione e a tutto vantaggio dei suoi diversi nemici, interni ed esterni.
Per nostra fortuna, questo nuovo blocco può essere rotto. Non negli Stati uniti. Ma in Medio oriente. Qui, sembrerà strano, ma le esigenze degli Stati uniti, dei loro alleati mediorientali e dello stesso Iran possono essere non dico soddisfatte ma sicuramente prese tutte in considerazione, allargando sia l’ambito dei temi in discussione che quello dei partecipanti.
Israele e paesi arabi non pongono più ostacoli al dialogo; ma vogliono parteciparvi per manifestare preoccupazioni e le loro esigenze. Anche agli Stati uniti, il semplice ritorno alla situazione del 2015 sta stretto. E per una serie di ragioni. A porre resistenza a quello che temono si trasformi in un generale processo al loro regime sono, per ora, solo gli iraniani. Dimenticandosi, provvisoriamente, del fatto che agli inizi degli anni dieci furono proprio loro a chiedere che si affrontassero tutte le questioni pendenti; mentre fu Obama a frenare (e per il solito panico preventivo di fronte alle possibili reazioni).
Ma questo è un tema su cui occorre camminare piano ma pensare in grande guardare. Correndone tutti i rischi; compresi quelli legati al ritorno dell’irrazionalità.
Rimane però, la possibilità di tornare sul percorso percorrendo vie diverse.. Affrontando insieme e in via prioritaria i problemi più drammatici, quello del popolo siriano e del popolo libanese. Quest’ultimo da sempre creditore del mondo , come vittima di scelte imposte dall’esterno, con la conseguente impossibilità di porvi rimedio.
Ed è ora che questo debito cominci ad essere pagato.
(Alberto Benzoni)