(Roma, 15 marzo 2021). La popolazione siriana, lunedì 15 marzo, è scesa in piazza, in diverse città del Nord della Siria, per ricordare il decimo anniversario dell’inizio delle manifestazioni che hanno provocato un lungo e perdurante conflitto. Nel frattempo, Londra ha imposto sanzioni contro personalità vicine al governo di Damasco.
Negli slogan inneggiati nel corso delle proteste, la popolazione si è detta determinata a proseguire con la rivoluzione fino a quando il regime legato al presidente Bashar al-Assad non verrà rovesciato e il capo di Stato, insieme ai suoi alleati, portato davanti alla giustizia per i crimini commessi nei dieci anni di conflitto. Al contempo, è stata richiesta la liberazione di migliaia di siriani detenuti in carceri e centri di detenzione, e, a tal proposito, la comunità internazionale è stata esortata a intervenire per esercitare pressione sul governo damasceno.
In tale quadro, nella medesima giornata del 15 marzo, il Regno Unito ha imposto nuove sanzioni contro il governo di Assad, e, in particolare, contro sei individui ad esso legati, tra cui il ministro degli Esteri, Faisal Miqdad, la consigliera del presidente, Luna al-Shibl e due generali dell’esercito, accusati di aver guidato truppe artefici di violente repressioni a danno di civili. Tra gli individui sanzionati vi sono, poi, due imprenditori, uno dei quali, Yassar Ibrahim, ha presumibilmente coperto le attività di Assad e della moglie Asma volte a ottenere guadagni economici, mentre milioni di siriani soffrono di fame. Per il Segretario di Stato per gli Affari esteri britannico, Dominic Raab, il governo di Assad ha costretto il popolo siriano a dieci anni di atrocità, dopo che la popolazione ha mostrato coraggio nel chiedere riforme in modo pacifico.
Da parte sua, l’inviato speciale britannico in Siria, Jonathan Hargreaves, in un’intervista con al-Jazeera, ha dichiarato che il Regno Unito e i suoi alleati si stanno impegnando per favorire la fine del conflitto in Siria e per far sì che non duri un altro decennio. L’unica via perseguibile, a detta di Hargreaves, è quella verso una soluzione politica, guidata dai siriani sotto l’egida delle Nazioni Unite, e basata sulla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Anche il presidente francese, Emmanuel Macron, e il capo di stato turco, Recep Tayyip Erdogan hanno espresso il loro sostegno a una soluzione politica in Siria. Erdogan, in particolare, ha chiesto l’appoggio del capo della Casa Bianca, Joe Biden, per porre fine alla “tragedia” nel Paese mediorientale, sebbene abbia affermato la necessità, per l’Occidente, di prendere una posizione chiara nei confronti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
Come evidenziato da al-Arabiya, i dieci anni di conflitto hanno provocato più di 388.000 morti, oltre a migliaia di feriti, milioni di sfollati e rifugiati, e migliaia di persone scomparse con la forza o rapite, le cui famiglie sono ancora in attesa di notizie. Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), riportati da al-Araby al-Jadeed, 5,6 milioni di persone hanno lasciato la Siria, la maggior parte diretta verso i Paesi vicini, in particolare Turchia, Libano e Giordania. Per circa un terzo, si è trattato di bambini di età pari o inferiore a 11 anni. Parallelamente, 6,7 milioni di siriani hanno lasciato le proprie abitazioni a causa delle battaglie e dei ripetuti attacchi, e molti di loro vivono in campi profughi all’interno del Paese.
Sebbene nel decimo anno sia stato registrato il minor numero di vittime civili, alla luce di battaglie e offensive meno intense, il conflitto non può dirsi ancora concluso. Ad affrontarsi, dal 15 marzo 2011, vi sono, da un lato, l’esercito del regime siriano, coadiuvato da Mosca e appoggiato dall’Iran e dalle milizie libanesi filoiraniane di Hezbollah, mentre, sul fronte opposto, vi sono i ribelli, i quali ricevono il sostegno della Turchia. Il 5 marzo 2020, il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo turco, Erdogan, hanno raggiunto un accordo volto a porre fine all’offensiva dei mesi precedenti nel governatorato Nord-occidentale di Idlib e a favorire il ritorno di sfollati e rifugiati nell’ultima enclave posta sotto il controllo dei gruppi ribelli. Nel corso dell’ultimo anno, la tregua è stata più volte violata, ma l’intesa di Mosca e Ankara ha scongiurato il rischio di un’offensiva su vasta scala.
Nel frattempo, la popolazione continua a risentire le conseguenze di una crisi economica, esacerbata dal calo della valuta locale, la lira, che ha perso il 98% del suo valore rispetto al dollaro nell’ultimo decennio. Il 14 marzo, il tasso di cambio del dollaro a Damasco ha toccato quota 4.070 lire per la vendita e 4.010 per l’acquisto. Ciò ha provocato un crescente aumento dei prezzi dei beni, anche di prima necessità. Il prezzo di un sacchetto di pane di buona qualità nelle aree controllate dal governo è aumentato di 60 volte, mentre il prezzo di un uovo è salito a 300 lire siriane, rispetto alle tre sterline del 2011. Le Nazioni Unite stimano che 2 milioni di siriani vivano in condizioni di estrema povertà, mentre 12,4 milioni di persone lottano per trovare cibo. Al contempo, sono 13,4 milioni le persone che hanno bisogno di aiuti umanitari.
Piera Laurenza (Sicurezza Internazionale)