Siria: Biden ordina il primo attacco contro le postazioni di Teheran

0
305

(Roma il 26 febbraio 2021). Le forze statunitensi hanno riferito, venerdì 26 febbraio, di aver condotto un’operazione militare in Siria, su ordine del capo della Casa Bianca, Joe Biden, contro le postazioni occupate da milizie filoiraniane. Al momento, sono 22 i combattenti uccisi.

L’attacco è stato condotto alle 18:00, ora statunitense, del 25 febbraio, ovvero alle ore 02:00 della notte tra il 25 e il 26 febbraio in Siria. Come precisato da diversi quotidiani in lingua araba, al-Arabiya e al-Jazeera in primis, si tratta della prima operazione militare all’estero degli USA ordinata da Biden sin dal suo insediamento alla Casa Bianca, che risale al 20 gennaio scorso. In particolare, ad essere state colpite sono state le postazioni situate nell’Est della Siria, nei pressi del confine con l’Iraq, utilizzate da milizie sostenute dall’Iran, tra cui le cosiddette “Brigate di Hezbollah” e Kaitaib Sayyid al-Shuhada, ritenute essere tra le responsabili dei diversi attentati perpetrati contro obiettivi statunitensi in Iraq. A tal proposito, secondo quanto affermato dal portavoce del Pentagono, John Kirby, i raid ordinati il 25 febbraio rappresentano una risposta ai recenti attacchi condotti contro il personale statunitense e la coalizione internazionale anti-ISIS operante nei territori iracheni.

È stato lo stesso portavoce a precisare che, a seguito dei raid, sono state distrutte diverse strutture al confine siro-iracheno. Inoltre, stando a quanto riferito, in un primo momento, dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR), l’attacco ha provocato l’uccisione di almeno 17 combattenti, tutti membri delle Forze di Mobilitazione Popolare (PMF), e diversi feriti, oltre alla distruzione di tre veicoli pesanti con a bordo munizioni. Nella mattina del 26 febbraio, il bilancio delle vittime è salito a 22. Il SOHR ha specificato che gli aerei da guerra statunitensi hanno preso di mira un carico di armi diretto alle milizie filoiraniane, mentre questo giungeva in Siria, dall’Iraq, attraverso il valico di al-Qa’im, nella periferia Est di Deir Ezzor. Dopo l’attacco, ha riferito l’Osservatorio, le forze iraniane hanno lasciato alcune delle proprie postazioni, probabilmente per il timore di attacchi successivi.

Quanto accaduto, ha evidenziato Kirby, “invia un messaggio inequivocabile”, ovvero il presidente statunitense continuerà ad agire per salvaguardare il personale del proprio Paese attivo in Medio Oriente. A tal proposito, il Pentagono ha affermato che l’attacco è stato sferrato dopo aver consultato i propri alleati, membri della coalizione, e che Washington ha agito in modo “deliberato” al fine di favorire una de-escalation nell’Est della Siria e in Iraq. Inoltre, il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha affermato che l’obiettivo colpito era sicuramente utilizzato dalle medesime milizie sciite che hanno bersagliato in precedenza gli USA.

I raid del 26 febbraio hanno rappresentato una risposta a quanto accaduto il 15 febbraio, quando un attacco missilistico ha colpito l’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno, nei pressi di una base aerea della coalizione anti-ISIS a guida statunitense, causando la morte di un civile, un “contractor” straniero, e almeno 6 feriti, tra cui un soldato statunitense. Tale attentato è stato rivendicato da un gruppo soprannominato Saraya Awlia al-Dam, ovvero i “Guardiani delle Brigate di Sangue”, le quali hanno riferito che il reale obiettivo era rappresentato dalla presenza statunitense in Iraq e che, pertanto, il loro attentato era da considerarsi una forma di vendetta per la morte dei leader martirizzati.

A partire dal mese di ottobre 2019, le basi e le strutture statunitensi in Iraq sono state oggetto di più di 30 attacchi, portando Washington a minacciare una ritorsione contro le milizie irachene filoiraniane, con riferimento alle cosiddette Brigate di Hezbollah, ritenute responsabili di diversi attentati. Uno degli ultimi episodi più rilevanti risale al 20 dicembre 2020, quando l’esercito iracheno ha riferito che un gruppo di “fuorilegge” ha colpito con missili la Green Zone di Baghdad, un’area fortificata sede di istituzioni e ambasciate, tra cui quella di Washington. Circa Erbil, invece, risale al 30 settembre la dichiarazione del comando iracheno per le operazioni congiunte con cui era stato riferito che 6 missili avevano colpito le vicinanze di una base della coalizione internazionale a guida statunitense. In tal caso, secondo il Servizio Antiterrorismo del Kurdistan, l’attentato era stato perpetrato dalle Forze di Mobilitazione Popolare, una coalizione di milizie paramilitari, prevalentemente sciite, sostenute dall’Iran.

Stando a quanto riportato da al-Arabiya, sulla base delle informazioni riferite dal SOHR, nel mese di febbraio è stato registrato lo spostamento di milizie filoiraniane nell’area rurale di Deir Ezzor, sulla sponda occidentale del fiume Eufrate, probabilmente nel tentativo di “mimetizzarsi” e sfuggire agli attacchi condotti contro le proprie postazioni sia da Israele sia dalla coalizione anti-ISIS, sebbene quest’ultima abbia precedentemente agito in misura minore rispetto al nemico israeliano. Nello specifico, i gruppi affiliati a Teheran avrebbero spostato il proprio quartier generale e trasferito armi e munizioni in nuovi depositi nelle aree di Abu Kamal e Al-Mayadin, alla periferia di Deir Ezzor. Gli ultimi tarsferimenti, è stato precisato, sono stati effettuati approfittando di “valichi illegali” tra Iraq e Siria, impiegati per spostare armi e combattenti.

Circa la presenza statunitense in Siria, era stato proprio Kirby a chiarire, l’8 febbraio, che le truppe statunitensi stanziate in Siria, le quali includono circa 900 tra soldati e funzionari, hanno il solo obiettivo di proteggere i civili, ed è questo che giustifica la permanenza delle forze USA nelle regioni circostanti ai giacimenti. “La nostra missione è sconfiggere l’ISIS”, aveva affermato il portavoce. Come evidenziato da più parti, una dichiarazione simile aveva messo in luce un ulteriore cambiamento nella politica estera del presidente statunitense  Biden, rispetto a quella adottata dal suo predecessore, Donald Trump. Proprio durante la precedente amministrazione, il 30 luglio 2020, una compagnia petrolifera statunitense, Delta Crescent Energy LLC, aveva siglato un accordo con le Syrian Democratic Forces (SDF) per operazioni di modernizzazione nei giacimenti petroliferi già esistenti situati nel Nord-Est della Siria. Con Trump, il petrolio siriano ha spesso rappresentato un “argomento radioattivo”, viste le accuse rivolte da Damasco verso Washington di furto delle risorse petrolifere siriane, soprattutto dopo che l’ex presidente USA aveva annunciato la permanenza di 500 soldati delle Forze speciali nella regione controllata dai gruppi curdi.

Ad oggi, le truppe statunitensi continuano ad essere attive nel Nord-Est della Siria. Nel mese di gennaio scorso, fonti siriane hanno rivelato di aver monitorato l’invio di nuovi rinforzi e, nello specifico, di equipaggiamento militare e materiale logistico, nell’area di Yaroubia, nella periferia Est di Hasakah. Inoltre, sono stati trasferiti carri armati e veicoli militari presso Al-Malikiyah, città anch’essa situata nella periferia di al-Hasakah, vicino al confine con la Turchia, dove non si esclude l’ipotesi che Washington voglia stabilire una nuova base, alla luce delle minacce di Ankara di lanciare un’operazione militare per prendere il controllo dell’area di confine.

Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)