USA-Iran: le condizioni per il rientro nell’accordo sul nucleare

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(Roma il 28 gennaio 2021). Gli Stati Uniti torneranno nell’accordo sul nucleare solo una volta che Teheran avrà rispettato i suoi impegni, secondo il segretario di Stato degli USA, Antony Blinken. Il 28 gennaio, il ministro degli Esteri iraniano ha risposto a tale affermazione.

Il 27 gennaio, nel suo primo giorno come principale diplomatico degli Stati Uniti, Blinken ha confermato la volontà del nuovo presidente Joe Biden di tornare all’accordo del 2015 da cui il suo predecessore si era ritirato, ma ha respinto la pressione iraniana affinché gli Stati Uniti agissero per primi. “L’Iran non è conforme su una serie di fronti. E ci vorrebbe un po’ di tempo, se dovesse prendere la decisione di adeguarsi”, ha dichiarato Blinken. “Ancora non ci siamo, per non dire altro”, ha aggiunto.

Il segretario di Stato ha rifiutato di rendere noto quale funzionario degli Stati Uniti guiderà i colloqui con l’Iran, ma ha dichiarato: “Porteremo prospettive diverse sulla questione”. Se l’Iran tornasse all’accordo, Washington cercherebbe di costruire quello che Blinken ha definito un “accordo più lungo e più forte” che affronterebbe altre questioni “profondamente problematiche”. Tali parole potrebbero fare riferimento all’imposizione di un limite allo sviluppo iraniano di missili balistici e una serie di conferme sulla fine del suo sostegno alle forze per procura attive in Paesi come Iraq, Siria, Libano e Yemen.

Il 28 gennaio, in un tweet, il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha risposto al segretario di Stato degli USA. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa iraniana, IRNA, le parole di Blinken sono state considerate “osservazioni contro l’Iran”. Da parte sua, Zarif ha ricordato al segretario di Stato degli USA che è stata Washington a violare l’accordo nucleare iraniano (JCPOA), a bloccare l’afflusso di cibo e medicine per gli iraniani “durante quel sordido casino”. Ha poi aggiunto che l’Iran, tuttavia, rispetta il JCPOA e ha preso solo le misure correttive previste. “Ora, chi dovrebbe fare il primo passo?”, ha chiesto Zarif.

Anche Israele, uno dei principali alleati degli Stati Uniti, ha commentato la questione. Il 26 gennaio, il massimo generale israeliano ha avvertito che i piani di attacco contro l’Iran sarebbero stati rivisti e ha affermato che qualsiasi ritorno degli Stati Uniti all’accordo nucleare del 2015 con Teheran sarebbe “sbagliato”. Tuttavia, Teheran ha liquidato la minaccia israeliana come l’ennesimo tentativo di portare avanti una “guerra psicologica”.

L’accordo sul nucleare era stato raggiunto il 14 giugno 2015 tra l’Iran e i membri del gruppo 5+1 ovvero USA, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania. Il patto era stato una delle principali conquiste in politica estera dell’amministrazione Obama e imponeva all’Iran una serie di limitazioni al programma nucleare, in cambio dell’alleggerimento delle sanzioni internazionali nei settori finanziario e del petrolio. Le sanzioni approvate a partire da maggio 2018 dall’amministrazione Trump hanno duramente colpito l’economia iraniana negli ultimi 2 anni e la tensione è arrivata vicino ad un’escalation militare il 3 gennaio 2020, quando la Casa Bianca ha ordinato l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani.

Maria Grazia Rutigliano. (Sicurezza Internazionale)