L’Arabia Saudita apre le porte all’esercito di Washington

0
609

(Roma il 28 gennaio 2021). Le forze statunitensi stanno valutando la possibilità di impiegare un porto saudita e due aeroporti situati nel Regno del Golfo per stanziare le proprie truppe, nel quadro di eventuali tensioni con l’Iran.

La notizia è stata riportata dal quotidiano al-Arab il 28 gennaio, sebbene l’annuncio di Washington sia giunto già il 26 gennaio. In particolare, gli occhi degli Stati Uniti sono rivolti verso Yanbu, un porto situato nell’Ovest dell’Arabia Saudita, sulla costa del Mar Rosso, il quale rappresenta la seconda maggiore città portuale dopo Gedda, oltre ad essere il terminal di tre oleodotti costruiti negli anni ’80 per la consegna di petrolio e prodotti petroliferi a un importante complesso petrolchimico locale. Le altre due basi aeree che Washington desidera impiegare sono, invece, Tabuk e Taif, anch’esse situate sulla costa occidentale, che consentirebbero alle forze statunitensi di avere maggiore controllo di un’area definita strategica, oltre ad essere cruciale per il commercio internazionale di prodotti petroliferi.

Nel dare la notizia, l’esercito statunitense ha parlato di una “pianificazione di emergenza”, mentre ha affermato di aver già testato le operazioni di scarico e di trasporto merce via terra presso il porto di Yanbu. In tale quadro, il comandante del Comando Centrale degli Stati, il generale Frank McKenzie, ha riferito che, espandendo le proprie basi in Arabia Saudita, Washington sarà in grado di trasportare truppe dentro e fuori la regione, oltre a portare caccia e velivoli lontano dai lanciamissili iraniani. Questo perché, a detta di McKenzie, in caso di un conflitto armato con l’Iran, il Golfo Arabico rappresenterebbe un’area contesa, da cui è necessario spostare le proprie forze. Ad ogni modo, è stato precisato, al momento l’espansione delle postazioni USA nel Regno saudita è ancora in fase di analisi, mentre sono in corso negoziazioni con gli “ospiti sauditi” volte a progettare eventuali lavori alle infrastrutture di Yanbu.

In tale quadro, un portavoce del Comando Centrale, il capitano della Marina Bill Urban, ha dichiarato che le perizie nelle tre località sono in corso da circa un anno, ovvero dall’attacco del 14 settembre 2019 contro gli impianti petroliferi di Saudi Aramco, per cui Washington ha incolpato Teheran. Come affermato da Urban, si tratta di misure di pianificazione militare che mirano semplicemente a consentire l’accesso temporaneo o condizionato alle strutture in caso di emergenza e non vogliono essere in alcun modo provocatorie, né segnalare un’espansione dell’impronta degli Stati Uniti nella regione, in generale, o nel Regno dell’Arabia Saudita, in particolare.

Secondo alcuni analisti, la cui opinione è stata riportata da al-Arab, la nuova strategia degli Stati Uniti è indice del fatto che Washington, stabilendo una seconda linea di difesa nella regione del Golfo, lontano dal “fuoco diretto” di Teheran, sia consapevole che i mezzi e le forze attualmente disposti nell’Est dell’Arabia Saudita potrebbero non essere sufficienti a far fronte a un eventuale attacco iraniano, simile a quello che, il 14 settembre 2019, ha preso di mira gli impianti petroliferi di Abqaiq e Khurais. Dall’altro lato, a detta degli analisti, l’Iran potrebbe rendersi conto che lasciare il controllo della sicurezza del Golfo nelle mani degli USA è fuori questione. Tuttavia, il suo appoggio alle milizie di ribelli Houthi in Yemen ha “cambiato l’equilibrio di potere” e le azioni perpetrate dal gruppo ribelle contro l’Arabia Saudita vengono percepite come una crescente minaccia.

Nel corso della precedente amministrazione statunitense, guidata da Donald Trump, Washington ha inviato nel Regno le prime truppe dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Sono circa 2.500 i soldati schierati nella base aerea di Prince Sultan, a Sud-Est di Riad, la quale ospita altresì batterie di missili Patriot, bombardieri e aerei da combattimento. Non da ultimo, risale all’11 ottobre 2019 la notizia con cui Washington aveva riferito di aver dispiegato 2.800 soldati aggiuntivi nel Regno saudita, oltre ad aver inviato due squadroni di jet da combattimento, un’ala di spedizione aerea, due batterie di missili Patriot e un sistema di difesa missilistica THAAD. Come evidenziato dal Segretario alla Difesa statunitense, Mark Esper, le truppe USA in Arabia Saudita, all’11 ottobre, sarebbero giunte a 3.000 membri.

Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)