Iran: tra minacce missilistiche e nucleari

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(Roma 08 gennaio 2021). Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) ha svelato, venerdì 8 gennaio, la presenza di una base missilistica sotterranea in una località del Golfo non rivelata. La notizia è giunta dopo che l’Iran ha minacciato di aumentare la percentuale di arricchimento dell’uranio al 90%.

In un video trasmesso dalla televisione di Stato iraniana e rilasciato anche dal quotidiano al-Arabiya, il comandante a capo dell’IRGC, il maggiore generale Hossein Salami, ha affermato che il proprio Paese, l’Iran, non può fare altro che rafforzare le capacità offensive e difensive, per impedire al nemico di attuare i suoi piani e imporre la sua egemonia e preservare, al contempo, l’integrità territoriale e l’indipendenza di Teheran. La dichiarazione è giunta mentre veniva svelata una base, situata nella regione del Golfo, presso lo Stretto di Hormuz, la quale, a detta di Salami, si estende per diversi chilometri. Tuttavia, è stato specificato, quella svelata l’8 gennaio non è l’unica base ad ospitare “missili strategici” a servizio della Marina iraniana, ma, al contrario, Teheran dispone di diverse postazioni sotterranee simili, in cui sono presenti missili di precisione, con un raggio di gittata di centinaia di chilometri e una elevata capacità distruttiva, il che li rende in grado di affrontare anche le armi impiegate per guerre elettroniche.

Il video dell’IRGC è giunto in un momento in cui si temono nuove tensioni nella regione del Golfo, alla luce del sentimento di vendetta, non ancora assopito, di Teheran, la quale ha più volte minacciato di rispondere alla morte del generale della Quds Force, Qassem Soleimani, e del vicecomandante delle Forze di Mobilitazione Popolare, Abu Mahdi al-Muhandis, uccisi, il 3 gennaio 2020, a seguito di un raid ordinato dal presidente statunitense uscente, Donald Trump, contro l’aeroporto internazionale di Baghdad. In realtà, le tensioni fra i due nemici, l’Iran e gli USA, si erano acuite già a seguito del ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, l’8 maggio 2018, e dalla rimposizione di sanzioni contro Teheran.

Sono proprio queste ultime ad aver portato l’Iran ad allontanarsi gradualmente dagli impegni presi con l’accordo sul nucleare, il cosiddetto Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), firmato durante l’amministrazione di Barack Obama, il 14 luglio 2015, a Vienna, da parte di Iran, Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Unione Europea. Tra le mosse più recenti, il 4 gennaio, il portavoce del governo, Ali Rabiei, ha affermato che il governo di Teheran ha iniziato le operazioni di arricchimento di uranio al 20% presso l’impianto nucleare sotterraneo di Fordow. In questo modo, l’impianto iraniano raggiungerà un livello pari a quasi sei volte la soglia del 3,67% fissata dall’accordo del 2015, lasciando altresì pensare a un possibile utilizzo per scopi militari.

Il 7 gennaio, poi, sono giunte nuove minacce da un portavoce dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana, Behrouz Kamalondi, il quale ha affermato che l’Iran non avrebbe problemi a raggiungere una percentuale pari al 90% nelle operazioni di arricchimento. In particolare, Kamalondi ha spiegato che, alla luce della legge approvata dal Parlamento iraniano, Teheran potrebbe andare anche oltre il 20% annunciato il 4 gennaio, laddove necessario. Tuttavia, sebbene siano in parecchi a temere le capacità dell’Iran di produrre armi nucleari, il Paese ha più volte affermato che le proprie attività hanno solo scopi pacifici.

L’operazione del 4 gennaio prende avvio dall’approvazione di una proposta di legge da parte del Parlamento iraniano, discussa sin dal 2 novembre 2020, in base alla quale l’Organizzazione iraniana per l’energia atomica sarà tenuta a produrre e immagazzinare ogni anno almeno 120 chilogrammi di uranio arricchito, con un livello di purezza del 20%, presso l’impianto nucleare di Fordow, oltre a soddisfare le richieste industriali pacifiche del Paese con uranio arricchito oltre il 20%. Parallelamente, entro marzo 2021, il numero di centrifughe aumenterà a quota 1.000, mentre entro 5 mesi l’Agenzia potrà inaugurare una fabbrica di uranio metallico a Isfahan e ripristinare un reattore ad acqua pesante da 40 Megawatt ad Arak, che avrebbe dovuto essere riprogettato e ottimizzato con l’accordo sul nucleare. Non da ultimo, se i firmatari dell’accordo non rispetteranno i propri impegni, il governo di Teheran potrà impedire qualsiasi tipo di accesso e monitoraggio da parti estere, sospendendo il protocollo aggiuntivo del 2015, che include ispezioni internazionali periodiche delle sue strutture e consente agli ispettori l’accesso ai siti sospetti.

Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)