La vita dei cristiani in Turchia tra persecuzioni ed emarginazione

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(Roma 31 dicembre 2020). Il prezzo della politica di re-islamizzazione della società turca sta venendo pagato in larga parte dalla sempre più ridotta e impotente minoranza cristiana. Nell’ultimo secolo, fra trasferimenti di popolazione, pogrom e disegni genocidiali, i cristiani di Turchia sono quasi scomparsi: costituivano circa il 20% della popolazione totale nel 1914, oggi rappresentano lo 0,2%, ossia circa 160mila persone.

La graduale estinzione della realtà cristiana sta venendo accompagnata da un aumento della discriminazione e della persecuzione morbida nei suoi confronti, una situazione denunciata nel dettaglio da un rapporto di recente pubblicazione.

Una persecuzione “morbida” e silenziosa

Il 7 dicembre è stata pubblicata una relazione investigativa sull’evoluzione delle condizioni di vita dei cristiani in Turchia a partire dal 2016. La ricerca è stata condotta da due organizzazioni non governative, International Christian Concern e Middle East Concern, e le sue conclusioni sono cupe: il cristianesimo sta venendo cancellato dalla memoria della Turchia.

La situazione dei cristiani in Turchia non è mai stata semplice, ma negli ultimi quattro anni, ossia a partire dal dopo-golpe del luglio 2016, le discriminazioni e le forme di persecuzione morbida hanno registrato un impulso straordinario. Eliminate le ultime sacche di kemalismo dallo stato profondo, infatti, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha potuto rivelare le ambizioni islamiste del proprio progetto di rinascita imperiale – mai del tutto nascoste, ma impossibili da implementare a causa del rischio elevato di un intervento da parte delle forze armate, custodi della rivoluzione di Mustafa Kemal – dando impulso al ritorno dell’islam al centro della nazione turca.

Gli strumenti utilizzati da Erdogan per rimuovere dalla società quel che resta del cristianesimo sono accomunati da un elemento: la legalità. È la strumentalizzazione sapiente della legge, e non il ricorso alla forza bruta, che sta conducendo alla chiusura dei luoghi di culto cristiani, all’esproprio di beni immobili appartenenti a chiese od organizzazioni cristiane, e alla marginalizzazione della minoranza dalla politica, dalla cultura e persino dal mondo del lavoro.

Cristiani, cittadini di serie B

Nel rapporto si legge che “ai cristiani viene impedito di vivere pienamente la loro fede, vengono imprigionati da un legalismo soffocante e da una cultura che cerca di silenziare le loro voci e negargli influenza nella società”. Legalismi a parte – che hanno legittimato la recente riconversione in moschea di Santa Sofia – gli autori del documento hanno evidenziato come negli ultimi quattro anni sia aumentata in maniera preponderante la retorica cristianofoba nella politica, nell’istruzione e nella cultura; fatto, questo, particolarmente preoccupante perché potrebbe alimentare un circolo vizioso di soprusi e discriminazioni.

Negli ultimi quattro anni si è assistito anche al ritorno in scena del sempreverde concetto dei cristiani quali “stranieri indigeni” (yerli yabancılar), funzionale a giustificare la restrizione dei loro diritti a livello individuale e comunitario. Fra queste limitazioni figurano, ad esempio, le strette statali su chiese, luoghi di formazione e fondazioni cristiane, la sorveglianza sulle attività di proselitismo e il trattamento dei cristiani quali cittadini di seconda classe.

I casi-studio che hanno suscitato maggiore preoccupazione negli autori sono l’arresto del pastore Andrew Brunson il 7 ottobre 2016, liberato due anni dopo su pressioni di Donald Trump, la chiusura della chiesa protestante di Bolu del 21 marzo 2019, e una campagna di espropriazioni ai danni della Chiesa greco-ortodossa che ha condotto al trasferimento coatto di almeno cento proprietà nella sola provincia di Mardin.

Neanche il clero è esente dalla repressione. Sefer Bilecen, prete in servizio presso la provincia di Mardin, è stato arrestato a inizio anno con l’accusa di avere legami con il PKK e si trova ancora in stato di detenzione. A fare da sfondo a questa campagna di persecuzione morbida – morbida in quanto legalizzata e nonviolenta – l’aumento degli attacchi contro i luoghi di culto e i siti cristiani, inclusi i cimiteri, sotto forma di profanazioni e vandalismi.

Nella Turchia di domani, a meno di un intervento delle potenze interessate al destino dei cristiani – e, più in generale, ai diritti umani –, il cristianesimo potrebbe continuare a sopravvivere soltanto sotto forma di ricordo, relegato ai libri e ai musei, venendo trasformato in una carta da giocare per animare la massa nazionalista, esattamente come nei secoli passati.

Emanuel Pietrobon. (Inside Over)