« Brexit, missione compiuta ». Ma sulla finanza ammette rimpianti
Un accordo di compromesso per raggiungere il quale il governo britannico ha dovuto cedere su qualcosa, riuscendo tuttavia anche a indurre l’Ue – un fronte di 27 Stati – a piegarsi su non poco altro. Ma soprattutto un passaggio storico che consente al Regno Unito di dire bye-bye nel rispetto dei principi cruciali della Brexit, rendendo giustizia a una battaglia iniziata oltre tre decenni orsono da Margaret Thatcher. Boris Johnson sceglie il più filo Tory dei giornali, quel Telegraph su cui per anni ha alimentato in prima persona da giornalista e pittoresco corrispondente da Bruxelles la narrazione euroscettica della più coriacea tradizione isolana, per lanciare questo messaggio ed esaltare di fronte alla pubblica opinione il suo deal natalizio: accordo che in extremis ha fatto quadrare il cerchio degli affannosi negoziati sulle relazioni future suggellando un divorzio amichevole ma netto dal club dei 27 d’Oltremanica. Un trionfalismo temperato dall’ammissione che su alcuni dossier, su tutti quello relativo ai servizi finanziari, gallina delle uova d’oro della City, l’intesa « forse non si è spinta fin dove avremmo voluto » inizialmente. E nondimeno rivendicata come un successo, uno smacco ai detrattori.
In molti, ricorda baldanzoso il leader di riferimento del referendum del 2016, avevano irriso alla sua strategia bollandola addirittura con un neologismo creato ad hoc – ‘cakeism’, dall’inglese ‘cake’ – a bollare chi crede di poter conservare la torta e mangiarla allo stesso tempo (ossia ‘avere la botte piena e la moglie ubriaca’). Erano quelli che ci dicevano fosse « impossibile raggiungere un accordo di libero scambio con l’Ue senza rimanere avviluppati nella sua orbita regolatoria e legislativa ». Cosa che invece, in sostanza, il primo ministro assicura d’aver portato a casa. Per dimostrare l’assunto, Johnson si sofferma su uno dei temi più spinosi della trattativa: quello del cosiddetto level playing field, l’allineamento normativo richiesto da Bruxelles su questioni come i diritti dei lavoratori, le tutele ambientali o gli aiuti di Stato a garanzia di una futura concorrenza non sleale. Un allineamento che è stato alla fine concordato, ma in forma « ampiamente annacquata », senza impegni a un adeguamento dinamico automatico delle leggi britanniche. Al punto che il premier conservatore non esita ora a vantarsi che la libertà di cui potranno godere in avvenire le imprese del Regno in fatto di regolamenti, lacci e lacciuoli sarà davvero ad ampio spettro, con notevoli possibilità di « divergere dagli standard » di Bruxelles: visto che l’Ue – in cambio di un’intesa senza precedenti « a zero quote e zero dazi » doganali sulle merci, nell’ambito di un interscambio « da 660 miliardi di sterline » – si sarebbe accontentata in fin dei conti dell’impegno di Londra a non « sfruttare i bambini nelle ferriere », qualcosa che sarebbe stato lecito « attendersi comunque », ammicca Boris. Un aspetto confermato del resto, sebbene con preoccupazione, pure dall’esame condotto sul testo del trattato dal think tank progressista Ippr (Institute for Public Policy Research).
Non bastasse questo, BoJo nota ancora come il deal valga per i servizi – finanza a parte – che « pesano per l’80% delle esportazioni britanniche » nel continente e comprende « l’accesso di avvocati » e studi legali al mercato europeo, coprendo pure il settore digitale, chiave dello sviluppo tecnologico futuro. Il vero elemento di orgoglio per Johnson rimane in ogni modo l’asserito legame fra la sua Brexit e l’eredità thatcheriana. Il frutto di « una lunga odissea intellettuale » che – non nega – ha diviso il Regno Unito, ma si rifà direttamente « all’importante discorso di Bruges » in cui la Lady di ferro, nell’ormai lontano 1988, lanciò la sfida alla visione dell’integrazione comunitaria di Jacques Delors denunciandola quale premessa della nascita di « un super Stato europeo » capace di « infrangere la tradizione, le istituzioni parlamentari, il senso di fierezza nazionale » dei vari Paesi del Vecchio Continente. Parole « profetiche, se lette oggi », commenta adesso l’allievo Boris, senza rimpianti per una rottura comunque carica d’incognite. In attesa della ratifica di un accordo sul quale « non ho dubbi come Lei avrebbe votato ». (ANSA Europa)