(Roma 14 novembre 2020). Francia e Austria evidenziano il legame tra religione, sbarchi e attentati. Ma l’Ue frena.
Nel quinto anniversario dell’attacco al Bataclan, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen si dice determinata a costruire un’Europa che protegge.
Eppure nel vertice dei 27 ministri dell’Interno del Vecchio continente, ieri in video-conferenza, la guerra al terrorismo è al ribasso. Non si trova la quadra attorno alla nettezza con cui il presidente francese aveva concertato un piano assieme al cancelliere austriaco Sebastian Kurz. Dal documento Ue scompare ogni riferimento all’Islam. Si parla genericamente di «lotta all’estremismo». E visto che ieri si trattava di licenziare le proposte che i capi di Stato e di governo discuteranno il 10 e 11 dicembre, il dado è tratto. Vince la linea cauta, per non dire pusillanime.
Mentre la Francia segnala da giorni le evidenze legate al rischio sbarchi a Lampedusa, spingendo con l’Austria per collegare esplicitamente attentati, immigrazione e fenomeno religioso (nella prima bozza si menzionava la parola «islam» 15 volte, e si chiedeva alla Commissione di trovare un modo per istruire gli imam in Europa), la dichiarazione siglata ieri dai 27 precisa invece che «la lotta al terrorismo non è diretta contro credenze religiose o politiche, ma contro l’estremismo fanatico e violento». Di quale matrice non è dato saperlo. Impossibile metterlo nero su bianco. Almeno per Berlino, che fino al 31 dicembre presiede il Consiglio Ue.
Frau Merkel ammorbidisce la linea Macron-Kurz. Così la Francia si ritrova a ricordare le vittime del 2015 senza che sia cambiato granché: 130 morti tra il Bataclan e altre zone sconvolsero allora Parigi e l’Ue. Nuovi attacchi a Nizza e a Vienna. E ancora un Vecchio continente solidale a parole, che si guarda bene dall’assecondare Francia e Austria nella comune lotta all’islam politico.
Entrambe le nazioni colpite recentemente da attacchi islamisti considerano infatti il messaggio religioso, distorto o meno che sia, come il principale responsabile delle azioni terroristiche nel cuore dell’Europa. L’Eliseo chiedeva all’Ue di dare un nome al nemico, come a Parigi si è fatto anche ieri. Pur nella liturgia delle commemorazioni e delle gerbere nei luoghi colpiti, il governo risponde con provvedimenti ad hoc contro associazioni islamiche, predicatori d’odio nelle moschee e proclami on line di morte. Come la «fatwa» digitale che ha condannato alla decapitazione il professor Samuel Paty. O come il messaggio scovato ieri dagli inquirenti sul cellulare di Brahim Issaoui, l’autore della mattanza di Nizza lo scorso 29 ottobre.
Il Procuratore nazionale antiterrorismo ha rivelato infatti che sul telefono del tunisino c’era la foto del killer dell’insegnante, il rifugiato Abdulakh Anzorov erso a idolo. E perfino la presenza di un messaggio audio in cui il ragazzo sfuggito ai radar tunisini, sbarcato a Lampedusa, indicava la Francia come «terra di miscredenti» da punire, oltre a decine di foto «relative» all’Isis.
L’Ue risponde alle richieste di Parigi proponendo di rafforzare il mandato operativo di Europol, l’ufficio europeo di polizia: più personale e finanziamenti diretti. «Dobbiamo conoscere chi entra e chi esce dai nostri confini», sintetizza il ministro tedesco dell’Interno Horst Seehofer. La Germania lascia ancorato il pachiderma a vecchi schemi di «prevenzione», con Europol che stima come il 22% di chi entra nello spazio Schengen non sia registrato nell’area. «C’è un discreto margine di miglioramento» sui controlli alle frontiere, terrestri e marittime, ammette la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson.
Ma limitarsi a «migliorare lo scambio di informazioni e dati» su chi sia una minaccia, ponendo «attenzione al fenomeno della radicalizzazione online e offline», pare poco decisivo. A dicembre si interverrà per rimuovere «entro un’ora al massimo» contenuti che veicolano odio. Più che combattere gli autori dei messaggi islamisti, si fa la guerra al mezzo con cui si propagano.
Francesco De Remigis. (Il Giornale)