(Roma 15 novembre 2020). Pochi chilometri più a sud dei confini meridionali dell’oramai quasi ex repubblica dell’Artsakh, sorge l’importante città iraniana di Tabriz. Si tratta del principale centro a maggioranza azera dell’Iran, riferimento per la popolazione turcofona che vive all’interno della Repubblica Islamica. Da qui, mentre i cingolati dell’esercito di Baku avanzavano guadagnando terreno contro gli armeni, in centinaia sono partiti per raggiungere la frontiera e salutare i soldati azerbaigiani. Visti come “fratelli” e come “liberatori”. Immagini che certamente non hanno fatto piacere a Teheran. E che hanno iniziato a preoccupare e non poco i dirigenti iraniani.
L’accoglienza delle truppe azerbaigiane oltre confine
Anche il calcio può aiutare a capire cosa sta accadendo nel nord dell’Iran. Nel 2015 la squadra di Tabriz, il Tractor Sazi, si è giocata il campionato fino all’ultima giornata con due squadre di Teheran. Il titolo è sfuggito a pochi minuti dalla fine del match conclusivo contro il Naft di Teheran. Secondo i padroni di casa il risultato è stato condizionato da scelte arbitrali in grado di favorire la squadra della capitale. Da lì un’ondata di proteste che ha posto in primo piano la questione azera all’interno del Paese. Una minoranza, quella di lingua turcofona, molto importante. Basti pensare che sono almeno dodici milioni i cittadini iraniani di origine azera, di più di quanto sono nello stesso Azerbaigian. E anche se questa etnia negli anni è apparsa molto integrata, alcuni segnali non appaiono molto benevoli per il governo centrale.
Quando il 27 settembre scorso il conflitto nel Nagorno – Karabakh è riesploso, sia a Teheran (dove un terzo della popolazione è azera) che a Tabriz e nelle altre province a maggioranza turcofona molta gente è scesa in strada a supporto di Baku. Nessuna invettiva contro il governo iraniano, né slogan a favore di indipendenza e autonomia. Al tempo stesso però, il semplice inneggiare a un altro esercito e sventolare la bandiera di un altro Stato non è apparsa una scena usuale per la Repubblica islamica. Immagini che si sono ripetute poi lungo il confine tra l’Iran e i territori occupati fino a pochi giorni fa dagli armeni quando i soldati di Baku hanno iniziato ad avanzare. Tra le prime località cadute proprio quelle lungo la frontiera. E molti iraniani di origine azera hanno “salutato” dall’altra parte del confine le truppe che tornavano in zona da cui mancavano da almeno un quarto di secolo.
Un problema per Teheran
Diversi quindi i segnali potenzialmente negativi per l’Iran. Come detto, la minoranza azera è sempre apparsa molto integrata. Inoltre storicamente è stata anche legata a Teheran e non ha mai posto in discussione l’appartenenza allo Stato iraniano. Almeno fino ad oggi. Perché di tensioni negli ultimi anni non ne sono mancate. Nel 2015, lo stesso anno in cui gli azeri di Tabriz hanno lamentato discriminazioni in ambito calcistico, proteste e scontri sono scoppiato a seguito di un programma televisivo giudicato discriminatorio da parte della minoranza turcofona. In uno sketch due azeri, padre e figlio, venivano descritti come due personaggi poco intelligenti che si rendevano ridicoli all’interno di un hotel. Anche in questo caso piccoli ma significativi segnali che qualcosa forse potrebbe cambiare. E che a Teheran si sta iniziando a vedere con sospetto la nascita di potenziali rivendicazioni azere.
La vittoria di Baku nella recente guerra nel Nagorno, potrebbe aver accelerato un processo di maggiore identificazione dagli azeri iraniani con i cugini oltre confine. Anche perché sul fuoco delle rivendicazioni turcofone potrebbe soffiare Ankara, promotrice negli ultimi anni
di una rinascita di movimenti nazionalisti panturchi. E si concentrano proprio qui i principali timori iraniani. Che dietro cioè un avanzamento delle proteste azere all’interno del proprio territorio c’è lo “zampino” straniero. Non tanto e non solo della Turchia, quanto di chiunque potrebbe avere interesse alla destabilizzazione dell’Iran.
Mauro Indelicato. (Inside Over)