(Roma 31 ottobre 2020). La radicalizzazione che porta al terrorismo: è la sfida epocale della Francia. E non è mai stata attuale come ora, dopo gli ultimi attentati contro l’insegnante Samuel Paty, a nord di Parigi, e quello di ieri alla cattedrale di Nizza.
« Sin dalle origini la minaccia terroristica in Francia è stata collegata a territori esterni. Va ricordato che la culla storica di questa minaccia è la regione dell’Afghanistan e del Pakistan, a partire dalla guerra afgana del 1979-1989. Successivamente si sono aperti altri fronti, sia in Medio Oriente che in Africa, e poi sullo stesso territorio francese”, spiegava all’Agi Anne-Clémentine Larroque, storica ed esperta di islamismo, docente a Sciences Po Parigi.
A questo quadro globale già complesso, si sono aggiunti alcuni fattori propri della Francia, degli ‘aggravanti’ in quanto ex potenza coloniale tutt’ora in prima linea nel continente africano, con varie missioni militari tra l’altro nel Sahel, oltre che Paese di arrivo di ingenti flussi migratori.
Ora però la minaccia è tutta interna, pur tralasciando l’anomalia del caso di Brahim Aouissaoui, il killer di Nizza, arrivato in Europa da poche settimane. Il passaggio da minaccia esterna a interna « si è verificato con la mediatizzazione della propaganda sui Social, con la mondializzazione della causa jihadista che potenzialmente porta ad agire un numero maggiore di persone che vivono fuori dalle zone attive della jihad (Afghanistan, Sahel), attuando il modus operandi predicato dall’ideologia stessa », spiegava sempre Larroque.
Analizzando in una prospettiva più ampia la presenza di individui e gruppi potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale, Larroque evidenzia che dagli attentati di Notre Dame nel 1995 e poi dopo il passaggio simbolico dell’11 settembre, in Francia i vari gruppi islamisti presenti hanno tessuto una vera e propria ragnatela e negli ultimi 30 anni ne hanno rafforzato la maglia, in più settori della vita socio-culturale.
« Di fatto sul territorio francese ci sono diversi gruppi islamisti ben identificati dalle autorità. Non tutti hanno le stesse rivendicazioni ma potenzialmente hanno collegamenti con organizzazioni esterne ‘leader’ », continua l’analista.
« La Francia è un territorio di accoglienza, con apposite strutture, e ha una cultura dell’accoglienza. Ci sono molti cittadini stranieri immigrati in Francia, ci sono dei rifugiati che non hanno nulla di perdere. Ci sono anche dei franco-marocchini, franco-algerini e franco-tunisini che rientrano dalla jihad nei territori fulcro a migliaia di chilometri di distanza”, spiega Larroque, tracciando il quadro complesso delle presenze a rischio.
In Francia negli ultimi 30 anni il terreno fertile all’espansione dell’islamismo è stato anche la scuola, i club sportivi, i centri culturali, attraverso i quali è riuscito a radicarsi nella società. « Sin dagli anni ’60-’70 il salafismo è entrato nelle nostre società per dimostrare che le nostre referenze, che il nostro sistema di pensiero sono sbagliati, con la volontà di erigere il sistema di pensiero salafo-wahhabita a riferimento primario nel mondo, per affermare così il proprio soft power saudita », valuta Larroque in una prospettiva mondiale.
In Francia negli ultimi mesi si sono verificati diversi fatti di cronaca apparentemente scollegati tra di loro – studentessa aggredita a Strasburgo perché indossava una gonna, crescenti tensioni intercomunitarie a Dijon tra ceceni e maghrebini, minacce di morte alla liceale Mila per le sue critiche all’islam estremista – che Larroque ricollega, invece, a una sfida epocale del Paese: il confronto tra l’affermazione di identità molto forti che rimette in discussione le leggi vigenti, il patto e i valori repubblicani.
« Nel nostro Paese le grandi battaglie femministe sono state combattute, le leggi di memoria varate, il riconoscimento dei popoli dei Paesi colonizzati è stato compiuto. Pensavamo che ciò fosse sufficiente, che l’offerta liberale fosse ben affermata – analizza la docente di storia – Eppure, invece di beneficiare di questa libertà, alcuni gruppi di certe comunità hanno bisogno di affermare una loro identità più forte di quanto proposto dal patto repubblicano. Dobbiamo riconoscere che questo patto repubblicano non conviene a tutti e dobbiamo affrontare il problema”.
Allontanando ulteriormente la lente d’ingrandimento dallo scenario francese, Larroque considera che il mondo occidentale in generale è entrato in una fase post moderna della secolarizzazione, una fase transitoria caratterizzata anche da una crisi del linguaggio, dell’espressione, in buona parte scaturita dai Social, che consentono a chiunque ed ovunque di esprimersi mentre i grandi simboli stanno scomparendo.
In risposta a queste sfide, il presidente Emmanuel Macron ha dichiarato guerra al separatismo islamista, definendolo una ideologia che si prefigge di prendere il controllo totale della società. Una stretta del capo di stato francese che si traduce in un apposito progetto di legge, che verrà presentato il 9 dicembre prossimo in consiglio dei ministri.
Al di là delle operazioni di polizia in corso, delle chiusure di moschee e di alcune associazioni, Macron intende rafforzare i controlli su scuole, luoghi di culto, finanziamenti pubblici, formare gli imam in Francia, per “liberare il Paese da influenze straniere”, potenziare l’insegnamento della lingua araba nelle scuole pubbliche oltre che migliorare la comprensione dell’islam grazie a nuovi percorsi di studio che favoriscano l’integrazione.
“Effettivamente da parte delle istituzioni c’è una netta presa di coscienza del problema del separatismo islamista. Non a caso il presidente Macron ha fatto il suo atteso intervento dal territorio simbolo dei Mureaux, comune della banlieue parigina”, fa notare Larroque.
Al momento in Francia sono operativi dei dispositivi di de-radicalizzazione, ma non è facile ‘recuperare’ gli elementi già indottrinati. “La soluzione risiede nel salvataggio delle future generazioni. Ciò significa puntare su scuole e formazione per avere un maggiore controllo su tutti i luoghi di socializzazione frequentati dai bambini, per proteggerli dal radicalismo, per evitare la loro ideologizzazione specie in contesti di impoverimento economico, intellettivo e culturale. La strada da percorre è quella di una stretta collaborazione tra tutte le istituzioni e i territori più a rischio” conclude Larroque.
Brahim Maarad e Véronique Viriglio. (AGI)