(Roma 28 ottobre 2020). Un gruppo formato da 74 attivisti politici e civili iraniani hanno inviato una lettera ad alcuni leader mondiali e al Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in cui si afferma che l’accordo, ancora non ufficializzato, tra Cina e Iran “costituisce una minaccia alla pace e alla stabilità” a livello internazionale.
Il riferimento va all’accordo della durata di 25 anni, la cui bozza è stata già approvata dal governo di Teheran il 21 giugno scorso, ma che richiede ancora ulteriori colloqui tra i due partner. Secondo quanto trapelato sino ad ora da più fonti, il patto prevede un investimento pari a circa 400 milioni di dollari da parte di Pechino, in diversi settori dell’economia iraniana, tra cui gas e petrolio. In cambio, Teheran si impegnerà a garantire forniture energetiche in modo stabile e continuativo per 25 anni, ad un prezzo scontato.
Secondo quanto riportato dal quotidiano al-Arabiya, il 28 ottobre, il messaggio degli attivisti iraniani è stato indirizzato ai leader di Stati Uniti, India, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Francia, Germania. In particolare, l’Iran e la Cina vengono entrambi definiti “regimi totalitari”, ma sarebbe solo il “governo comunista cinese” a trarre vantaggio dall’accordo. Teheran, dal canto suo, rappresenterebbe per Pechino uno “sbocco eccezionale” nella regione mediorientale, in qualità di centro regionale per il progetto cinese della Nuova Via della Seta. Al di là delle clausole di tipo economico, viene evidenziato dagli oppositori all’accordo, le due parti starebbero altresì lavorando a un “importante accordo sulle armi”, potenziando ulteriormente una cooperazione militare già forte. “Questo significa che siamo nuovamente arrivati al punto di confronto tra paesi democratici e governi autoritari, dopo il cambiamento del sistema globale”, affermano i firmatari.
Nella loro lettera, gli attivisti iraniani in patria e all’estero hanno descritto l’accordo una “sinistra alleanza tra comunismo e Islam politico” e hanno affermato che una simile alleanza potrebbe avere “conseguenze disastrose per il popolo iraniano e la comunità internazionale”. Secondo i firmatari della lettera, uno dei risultati dell’accordo Teheran-Pechino sarà “un aumento significativo dell’influenza della Cina e della Repubblica islamica nella regione” e, di conseguenza, i due “regimi” potrebbero rafforzare il proprio sostegno alle organizzazioni terroristiche, con il fine di assumere il controllo di “siti strategici chiave”. Per tale ragione, secondo gli attivisti iraniani, si tratta di un’alleanza pericolosa che minaccia per la pace e la stabilità internazionale. Di fronte a tale scenario, le Nazioni Unite ed i diversi destinatari del messaggio sono stati esortati a “sostenere la volontà del popolo iraniano” e ad “unirsi in una coalizione internazionale per aiutare gli iraniani a muoversi pacificamente verso la democrazia e lontano dalla violenza”.
Il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha incaricato il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif di firmare il documento dopo i negoziati finali con la parte cinese, e si è detto speranzoso circa una conclusione dell’alleanza entro la fine della prossima estate. Zarif, dal canto suo, il 9 ottobre scorso si è recato in visita a Pechino per tenere colloqui con la parte cinese, in cui si presume sia stato discusso anche l’accordo.
Tuttavia, un quotidiano iraniano, ripreso da al-Arabiya, ha riferito che la Cina non ha ancora firmato l’accordo a causa della sua mancanza di fiducia nel governo del presidente Rouhani, e che pechino è in attesa dell’approvazione e dell’impegno del leader supremo iraniano Ali Khamenei. “La parte cinese non vede la volontà del governo Rouhani di rafforzare le relazioni strategiche tra i due Paesi. Pertanto, i cinesi sono giunti alla conclusione che lavorare con il capo del regime è meglio rispetto a trattare con il capo del governo per firmare un accordo a lungo termine”, è stato riportato. Inoltre, secondo la fonte iraniana, la Cina ha utilizzato il trattato della International Financial Action Task Force (FATF), a cui l’Iran si rifiuta di aderire, come scusa per non rilasciare a Pechino i beni congelati, pari a circa 20 miliardi di dollari. Ciò avverrebbe in un momento in cui l’Iran è testimone di diffuse polemiche interne e discussioni in merito alla concessione di basi militari e isole alla Cina, in conformità con il “documento di cooperazione strategica tra Iran e Cina di 25 anni”, sebbene il governo di Teheran abbia negato qualsiasi cessione.
Ghulam Reza Mesbahi Moghadam, membro dell’Expediency Discernment Council del regime iraniano, ha rivelato che il controverso accordo con la Cina è stato concluso per volere del leader supremo del regime, Ali Khamenei, che ha inviato un delegato speciale a Pechino a tal fine. I circoli mediatici iraniani parlano di Ali Larijani, l’ex presidente del Parlamento, incaricato dal leader, Khamenei, di dare seguito a detto accordo.
In tale quadro, il segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale dell’Iran, Ali Shamkhani, ritiene che l’Occidente stia cercando di impedire all’Iran di dirigersi verso Est, riferendosi agli accordi a lungo termine che Teheran intende concludere con Cina e Russia. Da parte sua, il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, ha anch’egli affermato che l’accordo di 25 anni tra Iran e Cina, “porterà all’instabilità in Medio Oriente”. In merito all’inclusione nell’accordo di “una stretta cooperazione in materia di intelligence e difesa” tra Iran e Cina, Pompeo ha affermato: “Non sorprende che i governi che violano la libertà nei loro Paesi e creano sfide alla sicurezza al di fuori dei loro confini lavorino insieme”. A tal proposito, Washington si è impegnata a garantire l’attuazione di tutte le leggi e sanzioni contro il regime iraniano, così come quelle applicate al Partito Comunista Cinese e alle sue imprese.
Piera Laurenza. (Sicurezza Internnazionale)