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Pompeo in Medio Oriente per allargare l’accordo con Israele ad altri Paesi arabi

(Roma 25 agosto 2020). Parte da Gerusalemme la visita del segretario di Stato Usa: prossime tappe Sudan, Bahrain ed Emirati.

Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo è atterrato Lunedi in Israele, dove ha dato il via a un tour che lo vedrà impegnato fino al 28 agosto tra Sudan, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti, volto a consolidare i recenti contatti per la normalizzazione delle relazioni tra lo Stato ebraico e diversi Paesi arabi. « Sono venuto qui per congratularmi di persona con i leader che hanno segnato questo storico accordo » ha detto Pompeo a margine dell’incontro con il premier Benjamin Netanyahu, riferendosi all' »Accordo di Abramo » tra Gerusalemme e Abu Dhabi, rivelato da Trump il 13 agosto, che dovrebbe essere siglato a Washington nelle prossime settimane.

In Sudan Pompeo incontrerà il primo ministro Abdalla Hamdok e il Generale Abdel Fattah el-Burhan, il capo di Stato de facto, « per discutere dell’appoggio americano al governo civile di transizione ed esprimere sostegno per il rafforzamento delle relazioni tra Sudan e Israele ». La settimana scorsa, Haider Badawi Sadiq, il portavoce del ministero degli Esteri sudanese, era stato licenziato dopo aver affermato in un’intervista a un’emittente emiratina che il suo Paese avrebbe presto seguito la svolta di Abu Dhabi con Israele. Parlando al canale israeliano Kan11 tre giorni fa, Sadiq ha detto di essere certo delle sue affermazioni, dal momento che « il Sudan ha iniziato il percorso di avvicinamento a Israele ancora prima degli Emirati » e che « la direzione continua a essere quella ».

Il « tour della normalizzazione » di Pompeo ora sembra voler confermare le indiscrezioni fatte la settimana scorsa da Jared Kushner, il genero e consigliere di Trump, secondo cui « ci sono molte probabilità che altri Paesi aprano a Israele, dopo che gli Emirati hanno rotto il ghiaccio ». Da allora prove pubbliche di disgelo, con dichiarazioni più o meno esplicite, sono giunte oltre che dal Sudan anche dal Bahrain e dall’Oman.

Quanto alla rabbia palestinese per l’accordo, nonostante questo abbia messo il freno al piano di dichiarazione della sovranità israeliana su parte dei Territori della Cisgiordania, in un’intervista al Jerusalem Post il Segretario di Stato ha dichiarato che « la nostra visione per la pace fornisce una base ragionevole sulla quale iniziare le conversazioni ».

Non è un caso che il cerimoniale di congratulazioni per l’Accordo di Abramo avvenga proprio nel giorno in cui negli Stati Uniti si apre la Convention repubblicana. L’obiettivo è monetizzare il momentum di grande successo per la Casa Bianca sul fronte estero, cercando di oscurare almeno parzialmente i problemi di casa.

Come ha detto Pompeo in una nota « l’impegno americano per la pace, la sicurezza e la stabilità di Israele, Sudan e Paesi del Golfo non è mai stato così forte come sotto l’Amministrazione Trump ». E, in una mossa strategica che ha già sollevato un polverone, Pompeo martedì terrà il suo intervento alla Convention proprio da Gerusalemme, parlando dritto al cuore della base evangelica.

A Gerusalemme il Segretario di Stato ha incontrato, oltre a Netanyahu, anche il ministro della Difesa Benny Gantz, il ministro degli Esteri Ashkenazi e il Capo del Mossad Yossi Cohen. Sul tavolo ci sono anche dossier più spinosi.

In primis la questione del possibile sblocco della vendita agli Emirati dei velivoli di ultima generazione F-35, cui Israele si è sempre opposta per non minare il principio della sua superiorità qualitativa miliare (QME), ancorato anche nella legge americana. Pompeo ha cercato di placare lo sconcerto israeliano dicendo che gli Usa sono « impegnati a garantire il vantaggio militare israeliano, continuando nel contempo la cooperazione con i Paesi del Golfo per far fronte alla minaccia iraniana: due obiettivi che possiamo raggiungere contemporaneamente ».

L’Iran non è mancato chiaramente come argomento di discussione: Israele ha ringraziato Pompeo dopo che gli Usa hanno avviato il cosiddetto « snapback », il meccanismo per la reimposizione delle sanzioni all’Iran presentato al Consiglio di Sicurezza Onu, invocando « il mancato rispetto da parte di Teheran dell’accordo sul nucleare del 2015 ».

E a Gerusalemme si è parlato anche di Pechino. Pompeo ha elogiato l’ottima cooperazione con Israele sul « virus che proviene dalla Cina » e ha detto di aver discusso con Netanyahu « della sfida che il Partito comunista cinese pone al mondo intero ». Israele dovrebbe entrare a breve a far parte dell’iniziativa « Clean Network » del Dipartimento di Stato americano, impegnandosi a non utilizzare tecnologia cinese nei network sensibili di telecomunicazione  leggi 5G.

Gli investimenti cinesi in Israele erano stati uno degli argomenti caldi sollevati da Pompeo nella sua precedente visita a Gerusalemme il 13 maggio scorso, in piena emergenza Covid. La Cina è impegnata in Israele in diversi progetti infrastrutturali, come la costruzione del nuovo porto di Haifa e la metropolitana leggera a Tel Aviv. Il compromesso raggiunto sembra risparmi i progetti in corso, ma probabilmente avrà impatto sulle gare ancora da avviarsi.

A fine maggio, qualche analista aveva indicato come segnale della nuova politica la scelta di un’azienda israeliana rispetto alla concorrente cinese per la costruzione dell’impianto di desalinizzazione Sorek 2, nei pressi della base militare di Palmachim, che vede non di rado la presenza di soldati americani. Per Israele, che punta molto sugli investimenti e sulla forza lavoro cinesi, è una rinuncia non da poco. Ma piuttosto scontata dal momento che, come ha ribadito ieri Netanyahu al termine dell’incontro con Pompeo, « non abbiamo amici migliori degli Stati Uniti ».

(Sharon Nizza – La Repubblica).  (L’articolo)

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