(Roma 11 agosto 2020). Ad una settimana di distanza dall’esplosione che, il 4 agosto, ha provocato 163 morti e più di 6.000 feriti, il Libano si ritrova a far fronte ad un destino politico, economico e umanitario sempre più incerto.
A seguito di una forte ondata di mobilitazione popolare, in cui gruppi di manifestanti hanno accusato il governo di essere responsabile dell’incidente presso il porto di Beirut, il primo ministro, Hassan Diab, il 10 agosto, si è dimesso, affermando che l’esplosione rappresenta “un crimine prodotto dalla corruzione endemica”, la quale, a sua volta, “è più grande dello Stato”. Il capo di Stato, Michel Aoun, ha accolto le dimissioni di Diab, ma gli ha proposto di continuare a gestire gli affari dell’esecutivo, fino alla nomina di un nuovo premier, il quale verrà scelto tra i candidati che godono di maggiore sostegno all’interno del Parlamento.
La decisione di Diab è stata preceduta dalle dimissioni di diversi ministri della squadra governativa, a partire dal 9 agosto. I primi a lasciare sono stati la ministra dell’Informazione, Manal Abdal Samad, e il ministro dell’Ambiente, Damianos Kattar. I due sono stati seguiti dalla ministra della Giustizia, Marie-Claude Najm, e dal ministro delle Finanze, Ghazi Wazni. Tali decisioni, soprattutto quest’ultima, hanno messo in bilico l’intero governo.
Nel frattempo, la popolazione libanese ha continuato a protestare, chiedendo le dimissioni dell’intera classe politica al potere e non solo di singole personalità. “Tutti vuol dire tutti” è stato ribadito. Le autorità libanesi sono state accusate non solo di corruzione e di incapacità nell’affrontare le problematiche “croniche” del Paese, ma altresì di aver ignorato le condizioni di vita della popolazione a seguito dell’esplosione. Le forze dell’ordine, dal canto loro, hanno consentito ai gruppi di manifestanti di esprimere la propria rabbia, lanciando pietre e petardi e bruciando pneumatici per le strade.
Secondo fonti politiche libanesi, le dimissioni di Diab rappresentano un fallimento per Hezbollah, uno degli attori del panorama politico libanese. Sebbene non vi siano ancora informazioni certe sulle cause e sulle dinamiche dell’esplosione, il partito sciita è stato accusato di coinvolgimento, in quanto presunto responsabile dell’immagazzinamento di armi e sostanze chimiche esplosive presso il porto della capitale.
Lo stesso Hezbollah aveva appoggiato, sin dalla sua nomina, Diab e l’intera squadra governativa. Ora, secondo le medesime fonti, il partito sembra essere in attesa delle future mosse di Aoun, il quale potrebbe essere spinto dalla comunità internazionale, guidata dalla Francia, a formare un governo alternativo composto da personalità indipendenti e altamente qualificate, tra cui l’ex vice governatore della Banca centrale del Libano, Mohammed Ba’assiri, il quale gode del sostegno di Washington.
Il governo di Diab aveva ottenuto la fiducia del Parlamento l’11 febbraio scorso, dopo essere stato incaricato di risanare una situazione economica, sociale e politica sempre più fragile, che aveva spinto la popolazione libanese a scendere in piazza dal 17 ottobre, provocando le dimissioni dell’ex premier, Saad Hariri. Negli ultimi mesi, l’esecutivo di Beirut non è riuscito, però, ad adempiere alla propria missione, ulteriormente compromessa dalla pandemia di coronavirus. L’esplosione del 4 agosto è stata considerata dai cittadini “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” in un quadro di perdurante crisi caratterizzato da collasso economico, corruzione, sprechi e cattiva gestione. Pertanto, secondo alcuni, le dimissioni del governo non basteranno a placare la rabbia della popolazione libanese.
All’instabilità e incertezza politica si uniscono le preoccupazioni per le condizioni di vita di un popolo che, a detta del World Food Programme, rischia altresì di rimanere senza pane per più di due settimane, visto che l’85% del grano importato in Libano passava proprio per il porto di Beirut. Al contempo, continuano a giungere aiuti a livello internazionale.
Si ritiene che l’esplosione di Beirut sia stata provocata da 2750 tonnellate di nitrato di ammonio depositate, da circa sei anni, in container del porto della capitale. Oltre alle perdite di vite umane, vi sono stati ingenti danni materiali in tutta la città, equivalenti a circa 15 miliardi di dollari. Tra questi, la distruzione di almeno 3 ospedali, mentre altri 2 sono stati fortemente danneggiati. Parallelamente, l’esplosione ha causato la distruzione di uno dei silos di stoccaggio di grano del Paese. Secondo quanto riferito dal ministro dell’Economia, Raoul Nehme, attualmente le riserve di grano del Libano ammontano a “un po’ meno di un mese”.
Mentre le squadre di soccorso continuano a ricercare i corpi degli ultimi dispersi, al momento pari a 16, il dossier relativo all’esplosione è stato trasmesso al Consiglio Giudiziario, considerato la massima autorità giudiziaria in Libano, le cui sentenze, una volta emesse, saranno definitive e imprescrittibili. Tale Consiglio viene solitamente interpellato per indagare sui crimini contro la sicurezza dello Stato, compresi quelli che minano l’unità nazionale o le capacità finanziarie dello Stato, così come per le violazioni di diritti e doveri civili.
((Piera Laurenza – Sicurezza Internazionale). (L’articolo)