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L’inchiesta del «New York Times» : la Cina tentò di diffondere il panico negli USA sul coronavirus

(Roma 22 aprile 2020). La Cina ha condotto a partire dallo scorso mese di marzo una campagna di disinformazione mirata a diffondere il panico negli Stati Uniti in merito all’emergenza coronavirus, con tecniche «non dissimili da quelle utilizzate dalla Russia per influenzare le elezioni presidenziali del 2016». Lo sostiene il «New York Times» in una nuova inchiesta, secondo cui a tale conclusione sono giunte diverse agenzie d’intelligence Usa. Il quotidiano cita sei funzionari di altrettante agenzie rimasti in condizione di anonimato. Nel mirino vi sono una serie di messaggi che a metà marzo hanno trovato amplissima diffusione sugli smartphone dei cittadini degli Stati Uniti. Il contenuto è ricorrente. «L’amministrazione del presidente Donald Trump chiuderà l’intero paese e lo annuncerà non appena saranno pronte le truppe necessarie a fronteggiare rivolte e atti di sciacallaggio», recitava uno dei messaggi, citando una fonte nel dipartimento della Sicurezza nazionale, la quale “afferma di essere stata avvertita la scorsa notte e di essere stata invitata a fare i bagagli e ad attendere ordini». Tali messaggi sono diventati così virali che nel giro di 48 ore il Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca si è visto costretto a bollarli come «falsi» su Twitter. I responsabili dell’intelligence statunitense si sono ora convinti che alla diffusione di quei messaggi hanno contribuito i servizi cinesi, attraverso «tecniche di amplificazione» pressoché inedite e che destano preoccupazione a Washington. Molti dei messaggi, infatti, sono arrivati direttamente sui cellulari dei cittadini Usa sotto forma di Sms. Resta poi il mistero sull’origine di quei testi. «Le fonti – afferma il « New York Times » – si sono rifiutate di rivelare dettagli sul legame tra i messaggi e gli agenti cinesi, facendo riferimento alla necessità di proteggere fonti e metodi di monitoraggio delle attività di Pechino».

Tuttavia, alla conclusione che la Repubblica popolare cinese sia dietro la campagna di disinformazione sarebbero arrivati gruppi di ricerca bipartisan come l’Alleanza per la sicurezza della democrazia e il Centro per una nuova sicurezza americana, che dovrebbe pubblicare un rapporto sul tema il mese prossimo. Secondo due delle fonti d’intelligence menzionate dal «New York Times», i servizi cinesi non sarebbero gli autori dei messaggi allarmistici diffusi negli Stati Uniti, ma sarebbero intervenuti per amplificarne la diffusione. Per raggiungere quante più persone possibili sarebbe stata utilizzata in particolare la piattaforma social Facebook. Qui i presunti agenti cinesi avrebbero riutilizzato tecniche che secondo l’intelligence Usa erano già state sperimentate dalla Russia in occasione delle elezioni presidenziali del 2016, con la creazione di profili falsi incaricati di passare i messaggi a cittadini statunitensi già predisposti a condividerli. La campagna avrebbe però sfruttato anche l’app di messaggistica WhatsApp e gli Sms, rendendo più complicato il tentativo di tracciare i messaggi da parte dei ricercatori e delle autorità. L’inchiesta del «New York Times» giunge in un momento di massima tensione tra Washington e Pechino.

La partita si svolge anche sul terreno dell’intelligence: a settembre dello scorso anno il dipartimento di Stato Usa ha espulso in segreto due impiegati dell’ambasciata della Repubblica popolare cinese a Washington sospettati di aver condotto attività di spionaggio. Secondo la comunità d’intelligence statunitense, la Cina avrebbe «preso in prestito le strategie della Russia» per acuire le divisioni politiche negli Stati Uniti, un lavoro reso più facile dalle polemiche di queste settimane sulla gestione dell’emergenza Covid-19 da parte dell’amministrazione Trump. Parallelamente, i servizi statunitensi sono convinti che Pechino stia conducendo una campagna di disinformazione in Europa con messaggi tesi a «rafforzare l’idea che i paesi europei siano disuniti di fronte alla crisi» e a promuovere «la diplomazia degli aiuti» della Cina. Quella che si profila, secondo il «New York Times», è in ogni caso una «titanica guerra d’informazione» sulla pandemia, ad arricchire di una nuova dimensione la rivalità globale tra Stati Uniti e Cina.

(foto-Agenzia Nova). L’articolo

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